giovedì 21 aprile 2011

Alimenti alterati, scaduti, in scadenza …. sprecati.

La vecchia saggia nonna aveva due concetti chiari per distinguere la sanità dall’igiene: “fa male” e “fa schifo”.
Visto che non c’era molto da mettere sotto i denti, era raro che si trovasse qualcuno preoccupato della dieta, a meno che il dottore non gli avesse proibito il consumo di qualche alimento a causa del diabete o di qualche rara intolleranza alimentare.
Un alimento alterato sarebbe stato certamente collocato in una delle due categorie concettuali, forse più per lo schifo che per la paura del male.
Gli alimenti erano normalmente sfusi, tranne quelli che si “mettevano via” per l’inverno dentro barattoli di vetro cotti a “bagno maria”, se il contenuto era compatibile, con un contenuto “sott’olio” o con un pizzico di “salicillina” per conservarli.
Quando “scadevano” questi alimenti casalinghi? Quando comparivano muffe o alterazioni visibili, quando emanavano odori impropri o avevano un sapore diverso dal normale o, nel caso delle conserve alimentari, quando si sprigionava gas e il contenuto diventava “frizzante”.
La scadenza era legata a sensazioni, non a una dichiarazione in etichetta. Anche perché l’etichetta ha bisogno di un supporto, di una confezione, di un imballaggio e gli alimenti sfusi, a parte qualche rara eccezione come nel caso delle uova,  non possono essere stampigliati in modo inamovibile.
Lo sviluppo della distribuzione a lungo raggio degli alimenti ne ha imposto la protezione per motivi di igiene e per migliorarne la conservazione. Purtroppo, il progressivo allontanamento del luogo di produzione da quello di consumo ha disperso quelle informazioni di tipo “fiduciario” che regolavano il rapporto tra produttore/commerciante/consumatore e, per mantenere un legame di fiducia con i consumatori, è comparsa l’etichetta.
Ma chi stabilisce la “scadenza” del prodotto? E’ il produttore che decide.
Poiché vendere un alimento in stato di alterazione è reato i produttori tengono un ampio margine di sicurezza per non rischiare denunce. D’altra parte, il Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n. 109 che disciplina l’etichettatura ha come campo di applicazione “..i prodotti alimentari, destinati alla
vendita al consumatore nell'ambito del mercato nazionale…” ed ha come finalità  principale quella di “…assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore”.
La stessa norma intende per consumatore “..il consumatore finale…” ovvero colui che acquista per consumare direttamente  e coloro che acquistano alimenti per somministrarli, ovvero “…i
ristoranti, gli ospedali, le mense ed altre collettività analoghe, denominate in seguito "collettività".
La norma non fa cenno alla possibilità che gli alimenti in prossimità di scadenza possano essere ritirati dalla “ ..vendita al consumatore..” (obbligo di legge) per essere destinati a successivi processi di trasformazione e quindi reimmessi in commercio sotto altra forma, con una nuova etichetta e con una nuova scadenza.
Se un produttore confezionasse la metà di un lotto di mozzarelle con scadenza a 10 giorni – 4° di temperatura – e conservasse nella sua cella frigorifera l’altra metà del lotto non confezionato avrebbe l’obbligo di ritirare le confezioni invendute alla scadenza del decimo giorno ma le mozzarelle “scadute” per la vendita al consumatore avrebbero gli stessi requisiti igienici e sanitari di quelle, senza alcun vincolo, conservate nello stabilimento di produzione.
I prodotti confezionati ritirati dalla vendita non possono, in nessun caso, essere rimessi in vendita tal quali cambiando semplicemente l’etichetta ma non è vietata la loro trasformazione finalizzata al commercio di un nuovo prodotto.
Ciò che il consumatore deve sapere è che la data di consumo indicata sui prodotti si riferisce esclusivamente a quel prodotto confezionato, così come presentato alla vendita.
Sono molti gli alimenti che potrebbero ancora essere utilizzati e che vengono sprecati ma sono molti anche gli alimenti che rientrano nella filiera alimentare all’insaputa del consumatore.
Vietare o far finta di vietare, come in questi casi, non serve a tutelare i consumatori.
Meglio una buona informazione che li aiuti a capire e a contribuire alla riduzione degli sprechi alimentari, magari condividendo anche i vantaggi economici che, invece, restano appannaggio delle aziende più spregiudicate.
In conclusione, gli alimenti scaduti non sono automaticamente anche alterati ma bisogna essere rigorosi e severi nel contrastare e punire coloro che pensano di poter mascherare stati di alterazione dei prodotti con trattamenti conservativi o con elaborazioni più o meno complesse.
Consumatori consapevoli, non pirla.

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