mercoledì 27 aprile 2011

Contaminazioni da Campylobacter: un problema sottovalutato.

Da quando il regolamento comunitario 178/02 ha stabilito che la numerosità e l’intensità dei controlli ufficiali sugli alimenti debba tenere conto dell’analisi del rischio (Reg. 178/02/UE) non è la prima volta che l’Autorità per la Sicurezza Alimentare di Parma (EFSA) interviene per attirare l’attenzione su rischi sottostimati o per smorzare l’interesse nei confronti di temi di scarsa rilevanza sanitaria.
Questa volta è toccato ad un batterio, il Campylobacter, noto da tempo ma sottovalutato dalle Autorità sanitarie di molti Paesi europei e quasi sconosciuto dai consumatori italiani.
Dai dati e dalle valutazioni dell’EFSA questo batterio risulta essere responsabile del maggior numero di contaminazioni alimentari in Europa (il doppio della Salmonella) e questo dato trova conferma anche dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di origine alimentare (ECDC).
Sono stati ben 198.252 i casi di contaminazione alimentare registrati nel 2009 (con un aumento del circa 4% rispetto agli anni precedenti) mentre risultano in diminuzione da ormai cinque anni i casi di contaminazione ad opera della ben più nota salmonella.
In Italia il problema è sottostimato, non ci sono piani di monitoraggio obbligatori negli animali o negli alimenti e sono pochi i laboratori che si prendono il mal di pancia di cercare il Campylobacter di propria iniziativa.
Inoltre, quando si è di fronte a casi di tossinfezione alimentare i primi sospetti e le ricerche analitiche si orientano quasi sempre verso altri microrganismi, anche perché i sintomi sono molto simili.
Il Centro di referenza per le malattie aviarie dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle  Venezie conosce da tempo il problema e ha già segnalato più volte la presenza non sporadica della campylobatteriosi negli allevamenti avicoli italiani. L’allarme dell’EFSA conferma le preoccupazioni dell’IZS delle Venezie e dovrebbe stimolare le Autorità nazionali e regionali ad aumentare il livello di attenzione nei programmi ufficiali di controllo. 
Il batterio si trova facilmente ed abitualmente nell’apparato gastroenterico di polli, anatre, oche, e conigli allevati e anche in quelli selvatici (piccioni, fagiani, gabbiani), l’ovodeposizione e la macellazione possono essere occasioni di contaminazione degli alimenti.
L’allevamento bovino è meno interessato ma non è infrequente la possibilità di contaminazione del latte durante le operazioni di mungitura e il batterio può crescere nel latte non pastorizzato.
Le infezioni da Campylobacter  risultano spesso difficili da curare perché il batterio, in alcuni casi, è risultato  resistente agli antibiotici.
Visto l’allarme, la ricerca di Campylobacter potrebbe, in prospettiva, diventare obbligatoria nella filiere della carne ed essere inserito nei criteri microbiologici di igiene stabiliti dal Regolamento 2073/05 come attualmente è previsto per la  Salmonella. Il mantenimento di un adeguato livello igienico in lavorazione, una particolare attenzione alle contaminazioni crociate nonché una rigorosa osservanza della catena del freddo risultano, anche in questo caso, i fattori fondamentali per una concreta prevenzione.
E’ noto che se la carne di pollo viene cotta i batteri muoiono ma la contaminazione può avvenire anche in modo indiretto (posate o contenitori utilizzati per la carne di pollo cruda e poi per altri alimenti) e interessa  maggiormente i giovani che spesso mangiano fuori casa spendendo il meno possibile.
Il consiglio è sempre lo stesso: non consumare carni di pollame o di maiale crude o poco cotte, attenzione alle contaminazioni crociate che, nella maggior parte dei casi, sono dovute a cattiva gestione della cucina e a scarsa igiene.
Gianfranco Corgiat Loia 

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