giovedì 26 maggio 2011

Canne e bioetanolo: se ne può anche fare a meno.

In Sicilia si invita a “non confondere a minchia cu u bummolo”, il Liguria, più modestamente, si dice che bisogna imparare a distinguere “o belin dä corda".
Sono modi di dire che si usano per invitare ad aprire gli occhi quando, per coprire qualche porcheria, si lavora sul piano della comunicazione positiva utilizzando simboli, slogan e richiami a valori condivisi. Capita spesso quando si parla di ambiente e di energia.
Termovalorizzatore suona meglio di inceneritore, Ecocentro è meglio di discarica, se poi si aggiunge un “green” uno “sky” o un “power” si diventa importanti ed internazionali.
Anche i prefissi “eco” e “agri” vanno molto di moda: se apro un eco-store sono rispettoso dell’ambiente e se costruisco un agri-village posso nascondere una speculazione edilizia con l’immagine positiva della valorizzazione dell’enogastronomia italiana e della buona dieta mediterranea che rende felici i cittadini di questo Paese.
In questo modo si cerca di far passare inosservato il consumo di suolo agricolo fertile, la devastazione del paesaggio, il peggioramento della qualità dell’aria o l’incremento del traffico che porta con sé nuove rotonde, raddoppi di corsia, nuovo consumo di suolo.
La green economy rischia di essere un velo che nasconde le nudità dei profitti privati derivanti dallo sfruttamento di beni pubblici.
Se rubo all’agricoltura ed all’ambiente 100 ettari di risaia fertile per costruire un nuovo stabilimento devo trovare il modo di fare digerire la pillola invocando l’occupazione e l’uscita dalla crisi economica e se produco pannelli solari, mi dedico al fotovoltaico o alla produzione di “energia pulita” posso anche ricevere elogi per la mia sensibilità ambientalista.
Quando IKEA consuma 40 ettari di suolo fertile e fa modificare la viabilità per far raggiungere un suo nuovo supermercato lancia la notizia evidenziando l’aspetto occupazionale, l’allungamento di qualche pista ciclabile che si trova nei paraggi e promettendo di piantare qualche albero in più nel nord Europa.
Gli ambientalisti ci mettono in guardia dal Greenwashing, ovvero dall’indebita ed “ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni finalizzata alla creazione di un'immagine positiva di proprie attività (o prodotti) o di un'immagine mistificatoria per distogliere l'attenzione da proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi” (Wikipedia). Non sempre, tuttavia, dimostrano di essere in grado di contrastare questa perniciosa tendenza.
Basta leggere, ad esempio, l’articolo pubblicato sul sito http://www.soloecologia.it/05102010/la-canna-arundo-donax-ideale-per-produrre-bioetanolo/ per capire quanto subdola e penetrante sia l’informazione di grandi gruppi industriali o di multinazionali. Eppure lo stesso sito ci mette in guardia dai pericoli del greenwashing!
Il tema è quello dell’energia pulita che, per alcuni versi, suona come quello della “guerra giusta” o della “missione di pace”.
Se si pigia su Google “arundo donax” l’informazione che si riceve è per il 99% proveniente dal Gruppo Mossi e Ghisolfi che sta costruendo un nuovo stabilimento (probabilmente su altro suolo fertile definitivamente perso) a Crescentino, in Piemonte, a ridosso del confine tra la Provincia di Torino e quella di Vercelli.
Il progetto viene presentato richiamando valori positivi quali, ad esmpio, la produzione di energia pulita (bioetanolo) senza utilizzare alimenti destinati all’uomo a agli animali (mais) perché si sfrutta la prolificità di una pianta conosciuta da anni: la canna comune (o canna da fosso), arundo donax per gli esperti.
Non manca ovviamente il “salvagente” per gli agricoltori in crisi: i comunicatori del Gruppo Mossi e Ghisolfi richiamano l’estrema volatilità dei prezzi delle materie prime destinate alla zootecnia o all’alimentazione umana (mais, grano duro, soia ecc.), l’incertezza sul futuro delle piccole e medie aziende agricole e propongono la loro soluzione “salvifica” che metterebbe fine alle preoccupazioni del momento. A prima vista si ha la sensazione di aver trovato dei sinceri benefattori dell’umanità.
L’agricoltore non deve fare altro che sottoscrivere un contratto con il Gruppo e, oltre a provvedere alla banale “manutenzione ordinaria” del campo,  può concimarlo ed irrigarlo per aumentarne la resa (che incide sul suo guadagno).
Vista sotto un'altra angolazione, ben nota agli allevatori ed ai veterinari, la formula è quella degli allevamenti in soccida: da imprenditori agricoli si diventa dipendenti di società finanziarie o di Multinazionali.
Ci sono altri aspetti negativi.
L’impianto di Crescentino, che sarà operativo nel 2012, partirà probabilmente “sotto tono” ma, per funzionare a regime (si stima una produzione di 40.000 tonnellate di bioetanolo/anno), avrà bisogno di molti ettari di terreno coltivato a canna e sembra poco probabile che, come dice l’azienda, questi si possano trovare nel raggio di 40 Km mediante accordi con gli agricoltori.
In ogni caso non si utilizzeranno certamente “terreni marginali” con “basso consumo di acqua” e “significativa capacità di sequestro della CO2”, visto che la nuova “raffineria” si trova al centro di un territorio vocato alla produzione di riso e di mais.
Non serve un particolare acume per prevedere che buona parte delle biomasse destinate al produrre metanolo non proverrà dalla zona e forse neppure dal Piemonte o dall’Italia.
Siamo alle solite! Alla privatizzazione dei profitti derivanti dal business del bioetanolo corrisponderanno le perdite ambientali e sociali riferite alla qualità dell’occupazione agricola, all’impatto ambientale della nuova attività industriale ed all’ipoteca sull’uso di terreni per la produzione di alimenti per l’uomo e per gli animali (una nuova forma di competizione tra food, feed e fuel).
Mai il peggio si vedrà fra 10-15 anni.
L’arundo donax è una pianta infestante che affonda le sue radici e le espande per molti metri.
Se non ci si fa imbonire dai comunicatori del Gruppo M&G ma si attinge a manuali di agronomia o, per semplicità di comprensione, anche soltanto a Wikipedia, si legge che “Infestazioni di piccole dimensioni posso essere estirpate manualmente facendo bene attenzione che l'intero apparato radicale e tutti i rizomi vengano rimossi completamente. Dato che la canna domestica cresce in macchie dense e possiede grosse radici, la rimozione manuale o meccanica delle parti sotterranee di ampie monocolture clonali risulta essere un processo lento, difficile e spesso inefficace.
Pezzi di rizoma seppelliti sotto 1-3 m di terreno possono germogliare nuovamente e il disturbo arrecato dalla rimozione meccanica al suolo e alle comunità biologiche in esso presenti può essere forte……..Quando possibile, l'uso di equipaggiamento pesante come un escavatore, è consigliabile.
La risposta chimica all’infestante Arundo donax non è più rassicurante di quella fisica.
Non sono disponibili prodotti efficaci per trattamenti selettivi ed è necessario ricorrere a prodotti sistemici come il Glifosate (il noto Roundup prodotto da Monsanto e legato alle vicende OGM) che viene usato per il trattamento dei canneti nelle zone umide.
I prodotti sistemici sono molto tossici e per molti di essi che contenevano principi attivi messi al bando (es. Imazapir) è già stato disposto o è in corso il ritiro dal mercato: basta dire che nei “bugiardini” si legge che Il prodotto non deve essere utilizzato su terreno che possa essere successivamente destinato a qualsiasi coltivazione” o che L’azione erbicida nel terreno persiste per molti mesi in relazione alla dose e al contenuto di umidità del suolo; condizioni di tempo asciutto favoriscono una persistenza più lunga”
Ma chi sono  i veri “bugiardini”?
Gianfranco Corgiat Loia

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