L’idea che un intero sistema produttivo potesse risolvere il problema dei propri scarti e dei propri rifiuti riciclandoli “in toto” come mangimi da destinare all’allevamento degli animali affascinò non pochi imprenditori del settore zootecnico, sostenuti da eminenti ricercatori e professori universitari che si spesero, forse non sempre in modo disinteressato, per dimostrare che le proteine ed i grassi animali erano indispensabili per l’allevamento di bovine da latte.
In altri settori lo smaltimento degli scarti era, ed è tutt’ora, un costo per le imprese. La zootecnia degli anni ’80 e, in parte, degli anni ’90 ha giocato la sua competitività pensando di poter trasformare lo stagno in oro, ignorando gli insegnamenti della storia. Ciò che accadde a cavallo dei due secoli lo sappiamo ed è superfluo ogni ulteriore commento.
L’emergenza BSE determinò, a partire dalla fine degli anni ’90, un profondo cambiamento nel sistema delle raccolta, del trattamento e della valorizzazione degli scarti animali derivanti da attività zootecniche e da industrie del settore carni. Si passò rapidamente da un sistema industriale orientato alla produzione di beni (alimenti per uso zootecnico, grassi, fertilizzanti, prodotti tecnici ecc.) ad un sistema che, durante l’emergenza “mucca pazza”, poteva offrire quasi esclusivamente servizi (raccolta, pretrattamento, smaltimento).
Il sistema ha faticato a ritrovare un equilibrio e molti conservano il ricordo di montagne di rifiuti animali pre-trattati che nessuno voleva ritirare e di costi di raccolta che in poco tempo da gratuiti (perché il costo del servizio era compensato dal ricavo sui prodotti ottenuti) raggiunsero i 400.000 lire per capo bovino ritirato, appena sufficienti ad assicurare la raccolta ma, soprattutto, lo smaltimento di un “rifiuto” considerato, per giunta, pericoloso.
Inutile ricordare la tendenza all’abbandono di animali morti sul suolo pubblico dopo averli provati dei contrassegni di riconoscimento o la diffusa pratica di interrare le spoglie animali e di denunciarne il furto.
E’ in questo contesto e con questo “clima” che la Regione Piemonte operò per cercare una soluzione al problema che rispondesse alle esigenze di tipo sanitario, ambientale ed economico. Nacque così il Consorzio per lo Smaltimento dei rifiuti di origine Animale (COSMAN) che, con un difficile slalom tra orientamenti per gli aiuti di stato, diffidenze degli operatori del settore e polemiche sull’obbligatorietà di adesione ha saputo fino ad oggi svolgere un delicato compito di “mediazione” tra interessi non sempre convergenti e di “regolazione” di un sistema che ha tendenze contrapposte di monopolizzazione e di deflagrazione.
Ora la situazione è profondamente mutata e potrebbero aprirsi alcune possibilità di riconsiderare l’organizzazione complessiva del “Sistema Piemonte” salvaguardando alcuni princìpi, tra i quali:
· il mantenimento di un sistema di tipo “mutualistico” in grado di compensare al suo interno i maggiori costi della raccolta degli animali in aree fortemente svantaggiate;
· meccanismi di premialità nei confronti di chi ha una bassa mortalità aziendale perché pone attenzione al benessere degli animali;
· l’estensione della copertura assicurativa allo smaltimento dei capi abbattuti (non morti spontaneamente) in focolai di epizoozie, di aborti di scorte aziendali ecc.
· la differenziazione delle quote di adesione in base alle dimensioni ed alle caratteristiche aziendali
Il punto centrale su cui occorre lavorare per il cambiamento è rappresentato dalla possibilità di riutilizzo non alimentare dei prodotti derivanti dal trattamento degli animali morti che non rientrano nella categoria 1, in particolare dei suini.
Il perdurare della crisi nel settore suinicolo suggerisce infatti di non trascurare nessun intervento che possa concorrere a ridurre i costi di produzione negli allevamenti suini e lo smaltimento dei suinetti morti è una delle voci di spesa su cui si potrebbe lavorare.
I rifiuti di origine animale che, anziché essere smaltiti in termovalorizzatori o in discarica, potrebbero essere trasformati in fertilizzanti e prodotti industriali per uso non alimentare partendo da materie prime come le pelli, la lana, i peli, le setole di suini, le piume e le parti di piume non trasformate, le ossa, le corna, gli artigli.
L’ambito di intervento più significativo e conosciuto è indubbiamente quello della produzione di fertilizzanti ed ammendanti ma non è trascurabile l’interesse per la produzione di gelatine non alimentari, prodotti lubrificanti, colle e grassi fusi ad uso oleochimico.
L’occasione di cambiamento potrebbe essere rappresentata anche dalla recente entrata in vigore (4 marzo 2011) delle nuove disposizioni applicative relative al Regolamento CE n. 1069/2009 che ha abrogato il Regolamento 1774/2002, norma di riferimento per l’attività del COSMAN .
Il nuovo provvedimento di legge ricalca, nella sostanza, la suddivisione dei rifiuti animali in tre categorie di rischio:
1. sottoprodotti che devono essere smaltiti tal quali o con un pre-trattamento in impianti di incenerimento o di co-incenerimento;
2. sottoprodotti che non possono andare all’alimentazione di animali ma che possono essere utilizzati nell’industria o in agricoltura:
3. sottoprodotti che possono, previa trasformazione, essere destinati.
Il Consorzio che opera in Piemonte potrebbe pertanto rimodulare l’offerta di servizi assicurativi diversificando la filiera dello smaltimento obbligatorio da quella della valorizzazione industriale o agricola dei sottoprodotti della seconda categoria.
Il nuovo Regolamento Comunitario, pur non essendo particolarmente innovativo, precisa con maggiore chiarezza i concetti di rifiuto, materiale e sottoprodotto che continuano a coesistere nell’articolato ma con significati più chiari rispetto al passato. Le dispute interminabili tra Ambiente e Sanità sulle competenze e sulla demarcazione degli interventi ricadenti nell’una o nelle altre norme, anziché contribuire a chiarire e a risolvere problemi contingenti, hanno causato confusione, strascichi giudiziari, costi ed irritazione nelle imprese che, nel dubbio, erano costrette ad ottenere autorizzazioni da entrambe le amministrazioni.
Ma c’è anche qualche novità frutto dell’insegnamento ricavato dalla BSE: nelle restrizioni d’uso dei sottoprodotti si legge, alla lettera a dell’art. 11, che fatta esclusione per gli animali da pelliccia, è vietato somministrare agli animali proteine omologhe (cannibalismo).
Lo stesso articolo interviene per contrastare i “furbetti” che potrebbero pensare di pascolare animali su campi appena “concimati” con proteine animali.
La nuova norma è innovativa anche per i seguenti aspetti:
· l’obbligo di individuazione del un punto della catena di fabbricazione dei prodotti oltre il quale cessa l’interesse sanitario sul prodotto derivato dalla trasformazione del sottoprodotto;
· la maggiore chiarezza sulle relazioni del nuovo regolamento con altri atti legislativi comunitari che disciplinano sia lo smaltimento dei rifiuti sia la produzione primaria e la trasformazione di alimenti destinati all’uomo e agli animali.
· la possibilità, con atti normativi della Commissione, di integrare le liste delle tre categorie senza “bloccare” nella categoria 2 nuovi sottoprodotti non indicati negli elenchi ma che non comportano rischi per il loro eventuale impiego nella produzione di mangimi.
Il regolamento chiarisce meglio la destinazione delle spoglie degli animali selvatici o di loro parti ponendole in rapporto alle condizioni di polizia sanitaria e alla loro introduzione nel circuito della commercializzazione.
Alla maggiore “elasticità” della norma corrisponde tuttavia un maggiore accento sui principi di tracciabilità, sul controllo dei processi tramite l’analisi del rischio e sull’organizzazione dei controlli ufficiali, secondo principi sovrapponibili a quelli espressi nel “pacchetto igiene”, di cui questo regolamento , insieme al Reg.183/2005 sui mangimi appare complementare.
Sembra utile far rilevare che la demarcazione tra alimento, mangime e rifiuto non è tanto dovuta alla natura del materiale ma ad un principio fondamentale: quando un prodotto è diventato un sottoprodotto di origine animale non deve rientrare nella catena dell’alimentazione umana.
Molto dipende, quindi, dalle modalità con le quali si manipola e si tratta un prodotto e, quindi, dalle scelte del produttore. In altri termini, se si butta in un contenitore di prodotti edibili un bicchiere di plastica del caffè o un mozzicone di sigaretta il contenuto dell’intero contenitore diventa rifiuto. Così accade per le carcasse di pollame spolpate (che potrebbero essere ancora alimento ma che spesso diventano sottoprodotti), per le ossa, le cotenne, i visceri sani provenienti da animali sani ecc.
E’ sulla base di queste sintetiche considerazioni che potrebbe essere utile rivedere il sistema di smaltimento/trattamento dei rifiuti animali in Piemonte, tenendo conto dei seguenti punti non irrilevanti:
· le difficoltà di bilancio della Regione Piemonte rendono incerto ed improbabile il mantenimento dell’attuale livello di contribuzione agli allevatori che si assicurano (circa 4 milioni di euro all’anno).
· Gli Uffici della Direzione Agricoltura hanno già valutato da tempo la possibilità di accedere alle risorse del Piano Assicurativo Nazionale ed alcuni ostacoli sono già stati rimossi con emendamenti alla legge e con modifiche al Regolamento del Consorzio ma la strada per raggiungere l’obiettivo è complessa ed i Condifesa non sembrano avere l’intenzione di condividere le poche risorse nazionali disponibili che, per di più, arrivano con il contagocce e con ritardi inaccettabili.
· I costi di raccolta e di smaltimento incidono sul premio che gli allevatori debbono pagare per assicurarsi e, di riflesso, incidono sul contributo regionale. Se buona parte del sistema di raccolta poggiasse su attività di trasformazione e di commercializzazione dei sottoprodotti verrebbe probabilmente meno l’interesse ad assicurarsi perché parte dei costi potrebbe essere compensata dai ricavi della vendita dei sottoprodotti trasformati.
· La “contrazione” dei rischi assicurati ed assicurabili potrebbe ridurre l’interesse sul versante assicurativo e stimolare la ricerca di nuovi canali di smaltimento/trasformazione con nuovi partner o con aziende regionali che hanno interesse ad investire per il recupero dei materiali di categoria 2.
Una seria ed approfondita analisi su questi temi dovrebbe essere avviata con una certa celerità e ad opera di chi, fino a prova contraria, rappresenta gli interessi degli allevatori ed è tenuto ad utilizzare il loro contributo obbligatorio di adesione per studiare e proporre il miglior servizio al minor costo possibile. Se così non fosse verrebbe da dubitare sulle funzioni, sul ruolo e sull’utilità del Consorzio regionale nato per volontà della Regione Piemonte.
Gianfranco Corgiat Loia
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