L’accentuazione dell’interesse per le cosiddette “politiche territoriali”, forse anche dovuto alla necessità di passare dalle forme populiste del federalismo all’attuazione di progetti che migliorino il rapporto tra la produzione primaria locale ed il commercio/consumo dei beni prodotti, sta portando a riconsiderare con maggiore attenzione l’introduzione della “filiera corta” nella ristorazione pubblica.
Il tema è indubbiamente interessante perchè coinvolge aspetti di carattere economico, sanitario ed ambientale e può offrire buona visibilità ed una immagine positiva a tutti i soggetti attuatori.
L’idea che la produzione agricola primaria piemontese possa trovare una collocazione privilegiata e certa nella ristorazione pubblica ha un immediato impatto positivo sulla popolazione che considera positivamente i valori della freschezza, della qualità, della tradizione enogastronomica, della salvaguardia dell’ambiente, del presidio del territorio, della difesa dell’occupazione in agricoltura ecc.
Progetti che puntino a saltare o a ridurre drasticamente i passaggi di intermediazione dei prodotti agricoli destinati alla ristorazione dei “grandi numeri” lasciano intuire facilmente i vantaggi economici per la filiera e il consolidamento di un rapporto di fiducia tra produttori e consumatori a vantaggio del sistema economico e della qualità dei servizi di ristorazione nel loro complesso.
I vantaggi di iniziative di questo tipo non si fermerebbero, tra l’altro, al settore della ristorazione ma, viste le caratteristiche comuni dell’organizzazione dell’offerta, si potrebbero ottenere benefici anche nell’offerta di prodotti primari e di prodotti tradizionali nella distribuzione organizzata (che in più occasioni ha mostrato di essere attenta ed interessata al tema).
Da una indagine sulla ristorazione pubblica svolta da Slow Food per conto del Ministero della Salute è risultato, tra le altre informazioni raccolte, che in Piemonte si consumano mediamente 52 milioni di pasti all’anno nella ristorazione scolastica, poco meno di 25 milioni di pasti all’anno nella ristorazione socio-assistenziale e circa 14 milioni di pasti all’anno nella ristorazione ospedaliera.
Ipotizzando un costo medio di circa 7 euro a pasto si può stimare che il valore economico dei circa 91 milioni di pasti complessivi consumati ogni anno in Piemonte si aggiri intorno ai 650 milioni di euro.
Nella maggior parte dei casi (più del 50%) il servizio di mensa negli ospedali è dato in appalto. La gestione diretta della mensa interessa meno del 20% delle strutture e, nei casi restanti, si utilizzano forme miste.
Nella ristorazione socio assistenziale la situazione è ribaltata e in circa il 40% dei casi si ricorre alla gestione diretta.
Da alcuni anni l’assegnazione della maggior parte dei servizi di mensa avviene in base all’offerta economicamente più vantaggiosa ma in poco meno del 10% dei casi l’assegnazione avviene ancora in base al prezzo più basso.
La complessità dell’argomento e l’articolazione dei rapporti tra i soggetti coinvolti richiede un forte coordinamento dell’amministrazione pubblica e, in particolare delle organizzazioni che si occupano di agricoltura, di promozione e valorizzazione dei prodotti agroalimentari e di politiche di filiera ma nel nostro Paese la ristorazione pubblica è prevalentemente abbinata alle politiche di sicurezza alimentare e di nutrizione.
Pur essendo chiaro il contesto in cui ci si dovrebbe muovere, sarebbe molto utile poter sperimentare a livello territoriale alcune differenti tipologie di servizio quali, ad es.:
- servizi di ristorazione in strutture con cucina interna, personale dell’amministrazione e gestione diretta (es. ospedale di Asti)
- servizi di ristorazione in strutture con cucina interna ma con appalto del servizio per la produzione dei pasti “in house” con personale esterno (es. ospedale Molinette di Torino)
- servizi di ristorazione in strutture senza cucina e senza personale con appalto tutto esterno (es. Osp. Giovanni Bosco di Torino)
- servizi di ristorazione con affidamento dell’organizzazione e degli appalti a società in outsourcing (es. Amos – Santa Croce Cuneo).
La sperimentazione territoriale dovrebbe permettere di valutare con la dovuta attenzione i problemi organizzativi, i riflessi economici sul valore del pasto, il gradimento del servizio da parte degli utenti ma anche da parte degli operatori che erogano i pasti (in caso di cucina diretta).
Sotto il profilo organizzativo occorrerebbe coinvolgere preliminarmente le aziende di produzione dei pasti per analizzare con loro le possibilità ed i costi della riorganizzazione aziendale o della eventuale separazione dei circuiti.
Le ditte che producono pasti per più aziende pubbliche e private (come normalmente accade) si troverebbero infatti nelle condizioni di dover diversificare la loro produzione con cambiamenti organizzativi non indifferenti e con probabili modifiche strutturali ed impiantistiche.
Nelle stesse aziende ci potrebbe essere la necessità di produrre pasti partendo da prodotti surgelati già pronti per la lavorazione o addirittura già precotti e pasti che, invece, dovrebbero essere prodotti partendo da materie prime fresche che comportano operazioni di pulizia e di preparazione preliminare (es. lavaggio, pelatura, taglio di ortaggi e di frutta)) che richiedono spazi ed attrezzature distinte oltre che una maggiore disponibilità di personale.
Questi cambiamenti possono determinare un maggior costo del servizio con possibili svantaggi per i fornitori (bassa remunerazione dei prodotti) e/o per i consumatori e per l’amministrazione appaltante (maggior costo del pasto, alimenti di qualità inferiore, diete meno diversificate).
Tutto ciò andrà misurato attentamente prima di promuovere politiche di ristorazione allargate ad ampi territori.
Occorre peraltro tenere presente fin da subito che il valore dei progetti sperimentali non dovrà essere misurato soltanto con il parametro del costo del pasto ma dovrà includere altre valutazioni quali:
- l’impatto positivo sull’economia agricola locale
- l’impatto di una sana e corretta alimentazione sullo stato di nutrizione della popolazione (obesità, malattie cardiovascolari, diabete)
- la riduzione dell’energia necessaria a produrre il pasto
- la riduzione del packaging
- la riduzione dello spreco alimentare legato a pasti non consumati (perché poco graditi)
- l’eventuale riduzione dei costi dell’alimentazione parenterale dei pazienti trattati chirurgicamente
- l’eventuale riduzione dei tempi di degenza post trattamento chirurgico
- l’immagine positiva per i fornitori di alimenti e per la pubblica amministrazione.
Poiché difficilmente si potranno avere risorse aggiuntive si dovranno utilizzare meglio quelle esistenti introducendo criteri di priorità per i finanziamenti della promozione, dell’assistenza tecnica, della ricerca applicata a favore delle aziende agricole, delle aziende alimentari e dei servizi di logistica che aderiranno ad iniziative di valorizzazione delle proprie produzioni attraverso la ristorazione pubblica.
E’ ipotizzabile, tuttavia, che lo sviluppo in dettaglio di progetti di questa natura e l’avvio di sperimentazioni possano richiedere un finanziamento straordinario iniziale (di modesta entità), ad es. per la definire una o più proposte di “appalto tipo” per l’inserimento della filiera corta nella ristorazione pubblica che non contrastino con il diritto comunitario e nazionale in materia di appalti pubblici.
Forse è giunto il momento di abbattere le barriere sulle “competenze” tra le diverse amministrazioni interessate (Sanità, Agricoltura, Commercio ed Ambiente) per trovare vie d’uscita dalla crisi economica che sta attraversando anche il nostro Paese ma anche per collegare in modo più forte i valori della qualità, delle tradizioni locali e del rispetto dell’ambiente con ciò che abbiamo la fortuna di poter fare tutti i giorni, a volte inconsapevolmente: mangiare.
Gianfranco Corgiat Loia
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