Il servizio della Commissione europea che misura ed analizza le tendenze dell'opinione pubblica, più noto come Eurobarometro, ha appena registrato nel 2010 un aumento delle preoccupazioni dei consumatori europei nei confronti di residui chimici e biotecnologie che già si assiste alla rivincita dei microrganismi.
Scongiurato il pericolo BSE, lo spauracchio dell’aviaria e dell’influenza suina i consumatori europei cominciavano a sperare di poter abbassare la guardia contro prioni, virus e batteri ma l’allarme tedesco per il coli enteremorragico e le difficoltà ad individuare le cause dei decessi e dei numerosi ricoveri hanno riaperto la partita.
Chi non è “addetto ai lavori” si chiede come, nel 2011, sia possibile morire a causa di un batterio, seppure aggressivo e pericoloso, e si interroga sulle cause che possono aver determinato questa grave epidemia in Germania.
Il dibattito sulle cause dura da qualche settimana ed è molto probabile che resteranno molti dubbi, visto che le ipotesi finora avanzate dalle autorità tedesche hanno scatenato la corsa al risarcimento di danni ingenti e che, con l’allontanarsi dall’emergenza, eventuali addebiti di responsabilità alla ditta appaltatrice che gestisce le mense ove si sono consumati i pasti killer, nota in tutta Europa, diventano sempre più difficili e rischiano di far salire la lista dei danni da risarcire.
Trovare i colpevoli non è mestiere dei veterinari e dei medici ma analizzare questi fenomeni nel tentativo di trovare soluzioni dovrebbe essere un dovere di chi si occupa di sanità pubblica.
Una prima risposta agli interrogativi dei consumatori potrebbe essere questa: si muore nel 2011 per infezioni batteriche perché la risposta ai farmaci è cambiata ed è più incerta.
Il problema si chiama “antibioticoresistenza”. La causa non è da ricercare soltanto nell’uso improprio o nell’abuso di farmaci utilizzati per curare le malattie dell’uomo e degli animali o per prevenire l’insorgenza di patologie negli allevamenti che producono alimenti per l’uomo. Ci si deve interrogare anche sull’uso e sull’abuso di prodotti di larghissimo utilizzo che appartengono alla categorie dei detergenti/disinfettanti che qualcuno definisce anche “sanitizzanti”.
Anche nei confronti di questi prodotti i batteri hanno sviluppato resistenza e non sono rari i casi in cui la resistenza per un disinfettante consente ai batteri di sopravvivere anche agli antibiotici.
Ad esempio, Pseudomonas aeruginosa, batterio responsabile di infezioni ospedaliere in pazienti che hanno un sistema immunitario indebolito, ha imparato a sopravvivere ai disinfettanti utilizzati negli ospedali ma anche alla ciprofoxacina (classe fluorochinoni).
Non a caso l’OMS, nell’ambito della “giornata della salute” svoltasi il 7 aprile di quest’anno, ha voluto attirare l’attenzione sul tema dell’antibioticoresistenza con questo slogan: Antimicrobial resistance: no action today, no cure tomorrow (la presentazione è scaricabile dal sito http://www.who.int/entity/world-health-day/2011/WHD_AMR.pps)
Tubercolosi e streptococcosi sono, già oggi, difficili da aggredire con i farmaci disponibili.
I batteri resistenti attaccano soprattutto bambini, anziani e malati cronici, ma la tubercolosi non fa queste distinzioni: si registrano ogni anno 450.000 casi di TBC multiresistente, e un terzo delle persone colpite non sopravvive alle cure (studio Cook County Hospital di Chicago).
Il fenomeno che stiamo misurando ha responsabilità mediche, veterinarie ed economiche.
Tre esempi:
- Il Journal of the American Medical Association (febbraio 2011) ha recentemente pubblicato un interessante studio di James Hughes della Emory University (USA) secondo il quale la prescrizione di antibiotici non è necessaria o avviene impropriamente in quasi il 50% dei casi.
- Nei Paesi industrializzati, per abbattere il costo della carne e ridurre le perdite al minimo, il bestiame viene alimentato con mangimi medicati. Louise Slaughter, microbiologa e deputata del Congresso americano, sostiene che gli allevamenti di animali da reddito consumino i 4/5 degli antibiotici usati in America.
- Le industrie farmaceutiche non ritengono più prioritario investire sulla scoperta di nuovi antibiotici perché sono utilizzati da una minoranza della popolazione e perché la tendenza a ridurre la spesa farmaceutica contrasterebbe con l’esigenza di porre in commercio prodotti più costosi rispetto a quelli già in commercio che nella maggior parte dei casi rispondono ancora alle esigenze terapeutiche.
L’Economist ha recentemente pubblicato (31 marzo 2011) uno “speciale” sull’antibioticoresistenza (http://www.economist.com/node/18483671) nel quale si mette in evidenza il numero dei nuovi antibiotici immesso sul mercato americano dal 1983 al marzo 2011.
Una cosa appare evidente: la contraddizione tra l’aumento di batteri resistenti agli antiobiotici e la riduzione degli investimenti per la ricerca farmacologia.
In passato, l'antibiotico-resistenza è stata contrastata soprattutto dalla disponibilità di antibiotici sempre nuovi e potenti, ma per il prossimo futuro non avremo più a disposizione nuove classi di antibiotici.
Non resta che una strada: un uso più contenuto e più appropriato di antibiotici e di disinfettanti per poter salvaguardare l’efficacia degli antibiotici oggi disponibili.
Gianfranco Corgiat Loia
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