Con l’approvazione del Regolamento comunitario 178/02 e dei regolamenti che compongono il cosiddetto “pacchetto igiene” è stato riscritto in modo organico ed integrato il nuovo “diritto sulla sicurezza alimentare” per l’intera Unione Europea.
Come tutte le norme organiche che puntano all’obiettivo della semplificazione e della razionalizzazione (eliminazione di norme stratificate e non sempre coerenti), il nuovo pacchetto normativo scaturito dal Libro Bianco della Presidenza italiana di Prodi ha comportato l’abrogazione di numerose direttive comunitarie e, a cascata, delle norme statali con le quali erano state attuate.
Come una boa nella tempesta è sopravvissuta la Legge 283/62, forse anche perché nei criteri di delega del Parlamento ai vari Governi che si sono succeduti non si è mai pensato di integrare i contenuti di questa norma ancora attuali, nei vari decreti legislativi adottati negli ultimi vent’anni.
La Legge 283/62 sembra essere diventata nel nostro Paese un “simbolo”, un baluardo contro i sofisticatori a difesa dei consumatori. La difesa ostinata della Legge 283/62 e, in particolare dell’art. 5 che permette l’aggancio alla norma penale, testimonia la sfiducia di uno dei poteri dello Stato (la magistratura) nei confronti del potere legislativo (anche europeo) e dell’efficacia delle nuove norme.
L’Unione Europea è riuscita ad armonizzare le norme dei vari Paesi accompagnando il processo di integrazione dei nuovi Paesi e l’allargamento dei confini ma non ha toccato l’autonomia nazionale in materia amministrativa e penale invitando semplicemente i singoli Paesi ad adottare sanzioni “…efficaci, proporzionate, progressive e dissuasive”.
Ne consegue che la violazione delle norme comunitarie che concorrono a raggiungere l’obiettivo della libera circolazione dei beni e dei servizi sul territorio dell’UE, previsto dal Trattato di Roma, non produce gli stessi effetti sui cittadini dei vari Paesi, con differenze anche sostanziali.
Un esempio tra i tanti possibili: la presenza di salmonella in carni macellate è comunque sanzionata penalmente in Italia mentre negli altri Paesi europei, in presenza di basse cariche batteriche, non è previsto alcun intervento correttivo. Fino a pochi anni fa non si poteva escludere la possibilità che un importatore di prodotti legittimamente venduti in un altro Paese potesse essere denunciato in Italia ai sensi dell’art 5 della legge 283/62.
La differenza sostanziale è nel concetto di “accettabilità”.
Mentre nei Paesi anglosassoni prevale l’orientamento rivolto a comparare i costi dell’azione sanitaria con i benefici che si possono ricavare, in Italia si parte dal presupposto (ipocrita) che non ci debba essere alcun rischio per il consumatore, pur sapendo che l’eliminazione totale dei rischi (quando possibile!) comporterebbe costi molto elevati per la comunità e rinunce rilevanti sotto il profilo edonistico. Altro che tradizioni gastronomiche e biodiversità!
Per cultura e tradizione i cittadini italiani sono disposti a correre molti rischi, ad es. quando sono alla guida di un veicolo, quando eseguono lavori che richiedono protezione o quando praticano sport estremi ma non accettano l’idea che ci si possa ammalare, anche soltanto temporaneamente, consumando un alimento.
E’ un fenomeno preoccupante perché la crisi economica che colpisce il sistema produttivo, i progressivi tagli alla spesa pubblica (che riducono le possibilità del controllo ufficiale) e la disponibilità di moderne tecnologie analitiche suggerirebbero una “revisione” del livello di sicurezza che lo Stato continua a dichiarare (rischio zero) ed un più prudente assestamento su alcuni parametri di “accettabilità” del rischio da definire d’intesa con le rappresentanze della società civile.
E’ in questa chiave che va letto l’anacronistico art 5 della Legge 283/62. Sognare non è reato ma chi sogna vive in un mondo che non produce effetti su chi veglia.
La Legge 283/62 è come un sogno perché si riferisce ad un passato che non conosceva le biotecnologie applicate all’attività analitica, non usava i gas massa e cominciava appena a familiarizzare con alcuni nuovi strumenti che potevano rendere più rapida ed agevole l’analisi dei campioni.
Il boom industriale era agli inizi, l’industria e l’agricoltura scoprivano i benefici della chimica ma sottovalutavano gli effetti negativi sull’ambiente, la sicurezza alimentare era intesa come disponibilità di cibo per tutta la famiglia e lo sviluppo economico giustificava il consumo di risorse naturali, il peggioramento della qualità dell’ambiente e del paesaggio.
In un mondo che è profondamente cambiato, forse anche in peggio, la difesa dell’art 5 della 283/62 sembra più una difesa di “valori” che di “diritti”.
In Europa la sicurezza alimentare è diventata una “garanzia d sistema” (da prodotto a processo a filiera). In Italia, invece, la sicurezza alimentare è un’ambizione ancorata ad un “simbolo” di efficienza (Forze dell’Ordine e Magistratura) che sottovaluta l’importanza dei Servizi di Prevenzione delle ASL o, addirittura, diffida delle loro capacità di intervento.
Non conta ciò che si fa tutti i giorni senza fare troppo chiasso, contano i blitz, le immagini in TV, l’apertura di nuove inchieste. E’ il trionfo dell’emergenza ai danni della prevenzione.
In Italia è più gratificante la ricerca dei colpevoli che la ricerca di soluzioni per migliorare le garanzie di qualità e di sicurezza dei prodotti. Siamo un popolo di “giustizialisti” con una elevata propensione alla trasgressione. “Trasgressori giustizialisti”: un nuovo ossimoro!.
Ma è giusto spazzare via “in toto” l’aggancio penale offerto dall’art 5 della Legge 283/62?
A mio avviso no. Una moderna norma penale coerente con gli indirizzi comunitari va mantenuta per i seguenti motivi:
- può essere utile agli Organi di controllo per contrastare l'invadenza della politica nei sistemi di controllo pubblico e per combattere le tentazioni di “ammorbidire” o vanificare i controlli ufficiali in cambio di consensi elettorali o di compensi illeciti.
- Può essere utile, se opportunamente riscritto in chiave moderna, per punire le irresponsabilità legate ai rischi, non ai pericoli, e per sanzionare l’irresponsabilità delle impresa nella gestione dei processi produttivi (non l’irregolarità su un alimento, a volte anche sfuso, campionato in un mercato rionale).
- Magistratura, consumatori e “Media” sarebbero costretti a passare dalla difesa del “simbolo” alla discussione di contenuti rivolti a mantenere alto il livello di garanzie per i consumatori nel rispetto dei nuovi Regolamenti Comunitari.
Sappiamo bene che i "simboli" sono difficili da toccare ma l'opinione pubblica capirebbe che le previsioni della norma sono talmente soggettive da diventare arbitrarie e capirebbe anche che, in molti casi, non c'è alcun rapporto con la sicurezza alimentare e con la tutela della salute.
L’art 5 della Legge 283
Nell'attuale art 5 ci sono almeno tre aree di intervento distinte e distinguibili:
- Illeciti che possono comportare danno alla salute umana o animale
- Illeciti che non comportano danno per la salute umana ma che rendono “inadatto al consumo” un alimento
- Illeciti che non influenzano la salute del consumatore né configurano l’ipotesi di immissione sul mercato di alimenti a rischio così come definiti dal Reg. 178/02 ma che vanno ricondotti più correttamente a frodi di tipo commerciale o annonario.
Non c'è alcun cenno, invece, ad illeciti che non riguardano l’irregolarità su prodotti ma l’incapacità dell’OSA a tenere sotto controllo il proprio processo produttivo.
Ma vediamo più nel dettaglio, e con un sommario commento critico, le varie lettere dell’art 5 della Legge 283/62.
1. Le circostanze descritte nella lettera a) ovvero sostanze alimentari “private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiori o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali” sono tra loro molto diverse. Privare un alimento di parte dei suoi elementi nutritivi (es sottrarre grassi o proteine al latte intero senza dichiararlo in etichetta) non rappresenta un rischio per il consumatore, neppure sotto il profilo nutrizionale (considerata la piaga dell’obesità da ipernutrizione), ma una frode economica causata dallo scostamento del prezzo pagato in rapporto al valore dell’alimento acquistato.
Mescolare alimenti con sostanze di qualità inferiore potrebbe non essere un problema sanitario (es. mescolare carni trite di vacca con carni trite di vitello fassone o vendere mozzarelle di bufala fatte anche con cagliata di latte bovino) ma si profila, come prima, un’ipotesi di frode ai danni del consumatore se il fatto non è chiaramente dichiarato in etichetta. Se, invece, si mescolano alimenti di provenienza incerta o alimenti avariati potremmo essere in presenza di un rischio sanitario.
Mescolare alimenti con sostanze di qualità inferiore potrebbe non essere un problema sanitario (es. mescolare carni trite di vacca con carni trite di vitello fassone o vendere mozzarelle di bufala fatte anche con cagliata di latte bovino) ma si profila, come prima, un’ipotesi di frode ai danni del consumatore se il fatto non è chiaramente dichiarato in etichetta. Se, invece, si mescolano alimenti di provenienza incerta o alimenti avariati potremmo essere in presenza di un rischio sanitario.
2. Per quanto riguarda la lettera b) “in cattivo stato di conservazione” è opportuno, a mio modo di vedere, individuare alcuni parametri che riducano la soggettività di questa valutazione “a tutto campo”. A titolo di esempio, è sufficiente che un cliente di un supermercato riponga in una corsia non riservata ad alimenti refrigerati o congelati una o più confezioni di prodotti prelevati da un banco frigorifero per far scattare a carico del titolare del supermercato l’ipotesi di reato di “cattiva conservazione” di alimenti.
3. La lettera c) è totalmente anacronistica. Oggi si sa bene che le “cariche microbiche” aspecifiche non hanno significato sanitario (se così fosse dovremmo chiudere tutti i salumifici ed i caseifici che trattano prodotti stagionati) e per quelle “specifiche” la norma prevede la valutazione del rischio. Il paradosso consiste nel fatto che, stando alla lettera c) dovremmo preoccuparci di denunciare chi viola il Reg. 2073/05 (salmonella, listeria e presenza di enterotossina staffilococcica) ma non chi vende prodotti alimentari contaminati da Coli verocitotossici, da tossine o da ammine biogene.
Inoltre, sarebbe opportuno legare l’azione penale non alla semplice individuazione di una “non conformità” ma all’incapacità o alla superficialità dell’impresa nel gestirne la risoluzione.
Inoltre, sarebbe opportuno legare l’azione penale non alla semplice individuazione di una “non conformità” ma all’incapacità o alla superficialità dell’impresa nel gestirne la risoluzione.
4. Quanto alla lettera d) “insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione” vale quanto già detto sulla “soggettività” di questi parametri di valutazione: un prosciutto che cade per terra è “insudiciato”? L’insudiciamento è un problema sanitario (..comunque nocive…) o può essere anche invocato per gli alimenti “inadatti al consumo”. La lettura letterale porterebbe a considerare l’insudiciamento come un problema di sicurezza alimentare, visto che si teme l’alterazione, la nocività o il mascheramento di un preesistente stato di alterazione ma la lettera d) è stata utilizzata anche in presenza di poche larve di anisakis morte o rinvenute su alimenti sottoposti a congelazione che, come è noto, non rappresentano un problema di salute pubblica.
5. La lettera e) “adulterate, contraffatte o non rispondenti per natura, sostanza o qualità alla denominazione con cui sono designate o sono richieste” è di nuovo un mix di concetti che possono riguardare il rischio alimentare, la frode in commercio o entrambi gli aspetti. La vendita di alimenti con denominazioni particolari (es. adatti per consumatori allergici/intolleranti o adatti per bambini, donne in gravidanza, soggetti immunodepressi ecc.) ma privi dei necessari requisiti potrebbe essere punita con questa lettera dell’art 5 ma, come per molte altre lettere dell’art 5, basterebbe dire che la vendita di prodotti agroalimentari che non possiedono i requisiti previsti per gli alimenti, così come definiti dal Reg 178/02, comporta l’avvio di una azione penale.
6. Le lettere f) “colorate artificialmente quando la colorazione artificiale non sia autorizzata o, nel caso che sia autorizzata, senza l'osservanza delle norme prescritte e senza l'indicazione a caratteri chiari e ben leggibili, della colorazione stessa. Questa indicazione, se non espressamente prescritta da norme speciali, potrà essere omessa quando la colorazione è effettuata mediante caramello, infuso di truciolo di quercia, enocianina od altri colori naturali consentiti” e g) “con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l'osservanza delle norme prescritte per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sono soggetti a revisioni annuali” hanno gli stessi limiti delle precedenti.
Perché mettere sullo stesso piano i coloranti e gli additivi ammessi ma usati con dosaggio superiore a quello consentito, i coloranti e gli additivi non ammessi per un alimento ma consentiti per gruppi di altri alimenti e i coloranti e gli additivi comunque non consentiti?
Se le sostanze impiegate non recano danno alla salute perché devono essere inserite in una norma riguardante la sicurezza alimentare e ricadere nella fattispecie penale?
Non è più opportuno ricondurre le fattispecie penali nella norma che tratta il tema degli additivi alimentari ammessi o vietati?
Perché mettere sullo stesso piano i coloranti e gli additivi ammessi ma usati con dosaggio superiore a quello consentito, i coloranti e gli additivi non ammessi per un alimento ma consentiti per gruppi di altri alimenti e i coloranti e gli additivi comunque non consentiti?
Se le sostanze impiegate non recano danno alla salute perché devono essere inserite in una norma riguardante la sicurezza alimentare e ricadere nella fattispecie penale?
Non è più opportuno ricondurre le fattispecie penali nella norma che tratta il tema degli additivi alimentari ammessi o vietati?
7. La lettera h) “che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l'uomo. Il Ministro per la sanità, con propria ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto, autorizzato all'impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza e l'intervallo minimo che deve intercorrere tra l'ultimo trattamento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate, tra l'ultimo trattamento e l'immissione al consumo” è senza dubbio molto importante ma occorre essere consapevoli che il “residuo zero” non esiste e che i limiti di tolleranza non sono stabiliti per tutte le molecole chimiche note. Se si cerca qualsiasi molecola chimica con le tecnologie oggi disponibili (es. gas massa ad alta risoluzione) si possono trovare facilmente tracce di inquinanti con valori di 10, 12 zeri prima della virgola. Sono un problema di salute pubblica? Se sì, perché deve decidere di volta in volta la magistratura e non il legislatore nazionale? E’possibile nel 2011 distinguere le contaminazioni intenzionali da quelle non intenzionali? E’ giusto che un produttore risponda penalmente di una situazione addebitabile alla compromissione generale dell’ambiente e a pratiche agricole o industriali adottate da altri soggetti negli ultimi venti anni?
E’ vero, la Magistratura può accertare ed assolvere o punire ma è giusto intasare gli Uffici Giudiziari delegando ad essi valutazioni tecniche che potrebbero essere fatte dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale?
Certo è che fino ad oggi ogni tentativo di abrogazione totale della Legge 283/62 ha avuto esito negativo; perché non provare a riscriverla in chiave moderna anziché abrogarla?
Gianfranco Corgiat Loia
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