giovedì 30 giugno 2011

Buco della sanità: cercare i colpevoli o le soluzioni?


La Sanità regionale grava per più dell’82% sul bilancio della regione Piemonte.
Non stupiscono, quindi, le battaglie elettorali e politiche sul governo di un settore così importante sia per l’impatto delle scelte amministrative sulla popolazione sia per i conti pubblici sempre più in rosso.
Da più di vent’anni, ad ogni cambio di schieramento politico al governo della Regione, volano accuse gravi e pesanti sull’irresponsabilità dei precedenti amministratori che avrebbero contribuito, o quantomeno non avrebbero contrastato la crescita del cosiddetto “buco della sanità”.
Come buchi neri e quelli nell’ozono, anche quello della sanità ha dimensioni ragguardevoli e ha tendenza ad allargarsi per errori, inefficienze e scelte sbagliate.
Da qualche anno, tutte le Giunte, superata la fase dei proclami e degli addebiti di responsabilità, hanno affidato ad esperti il compito di analizzare le cause del debito crescente ed hanno proposto soluzioni per porvi rimedio. Ma ad ogni cambio di Giunta il “buco della sanità” è risultato più grande.
Per usare il gergo della sanità, verrebbe da dire che i rimedi adottati si sono rivelati peggiori del male diagnosticato. L’intervento è andato bene ma il paziente non ce l’ha fatta!
Secondo tutti gli analisti e gli esperti interpellati una delle voci che più incidono sui conti in rosso della sanità è il costo della rete ospedaliera, ovviamente senza trascurare la spesa farmaceutica, le prescrizioni mediche non appropriate, la medicina del territorio ed altre voci di costo.
La prima Giunta Ghigo, forse peccando di ingenuità, provò a porre rimedio all’incremento della spesa sanitaria usando lo strumento della programmazione (con il prezioso contributo del Dr. Morgagni l’assessore D’Ambrosio adottò in quegli anni il primo piano sanitario della Regione Piemonte) e tentando di chiudere gli ospedali poco efficienti.
Si cominciò con Domodossola ma la reazione della popolazione locale fu immediata e molto determinata, al punto di costringere la Giunta e rinviare la decisione per poi abbandonarla. Vi fu un secondo tentativo nel cuneese (unificazione degli ospedali di Mondovì e di Ceva) ma, anche in questo caso, importanti politici locali vicini allo schieramento della Giunta regionale riuscirono a “rimettere le cose a posto”.
Il secondo mandato della Giunta Ghigo non cominciò con proclami sulle responsabilità del buco crescente della sanità. Sarebbe stato quantomeno imbarazzante, ma il problema era noto.
Nel corso di questo mandato la sanità piemontese venne travolta da un’inchiesta giudiziaria che coinvolse i vertici della sanità regionale, direttori di importanti presidi ospedalieri e manager di cliniche private. L’inchiesta gettò dubbi sulle capacità di governo della Sanità regionale e contribuì all’alternanza politica.
Furono gli anni in cui si aprì la complessa vicenda dello scioglimento del Mauriziano e dell’alienazione del suo patrimonio che, probabilmente, nelle intenzioni dei vertici politici regionali  avrebbe potuto contribuire a ripianare una parte del debito della sanità piemontese.
Furono anche gli anni in cui, con coraggio, si chiese ai cittadini piemontesi di fare uno sforzo “una tantum” introducendo una addizionale IRPEF dell’1,4 per mille per gli anni 2002 e 2003 che avrebbe dovuto mettere a disposizione del bilancio regionale circa 360 milioni di euro. Purtroppo, le risorse introitate furono utilizzate per finanziare i trasporti ed il turismo ma non la Sanità.
Nel 2002 per coprire il disavanzo di gestione sanitaria generato negli anni precedenti (stimato in circa 1.200 miliardi di vecchie lire) la Giunta Ghigo attivò un mutuo a tasso variabile ventennale accollando una parte della spesa alle singole Asl e 5 milioni di euro all’anno alla Regione Piemonte.
La battaglia politico elettorale per le elezioni regionali fu molto accesa ed il tema della sanità dominò la scena. Il cambio del governo regionale fu molto “rumoroso” e, per alcuni mesi, l’allora assessore Valpreda e la presidente Bresso si occuparono quasi esclusivamente dei conti della Sanità.
Bloccata l’alienazione dei beni del Mauriziano, la Giunta rese pubblici i conti dei 10 anni di governo del centro destra: Sanità: “situazione più grave del previsto: un buco di un miliardo e 50 milioni di euro” – titolavano i giornali nei primi mesi del Governo Bresso.
A conti fatti, il disavanzo del 2004 risultò essere leggermente inferiore (la DGR 62-5050 del 2005 ed il piano di rientro firmato da Cota, Tremonti e Fazio attestano un disavanzo di 676 milioni di euro), e la Giunta Bresso, per porvi rimedio, attivò un mutuo di 676 milioni di euro con un costo annuo di ammortamento di 83 milioni per dieci anni (a partire dal 2007).
Anche Bresso e Valpreda partirono (come Ghigo e D’Ambrosio) con una proposta di nuovo Piano Sanitario Regionale e, puntando più sull’inefficienza e sui rischi per la salute dei pazienti che sulle esigenze di risanamento del bilancio regionale, avanzarono la proposta di ridurre gli ospedali e di “razionalizzare” la rete.
Si provò subito con l’Oftalmico e poi con Venaria ma le reazioni della popolazione non si sono fatte attendere. I sindaci, che nei convegni sul Piano sanitario Regionale sembravano concordi con le esigenze di risanamento dei bilanci pubblici, alla resa dei conti si schieravano con i loro cittadini contro l’Amministrazione regionale.
Il “cancro” del sistema sanitario (la spesa ospedaliera) ha tendenza a metastatizzare e tutte le Giunte non hanno saputo resistere alla tentazione di finanziare la costruzione di nuovi ospedali: non “invece” ma “in più”.
Per citarne due, l’ospedale di Asti voluto da Ghigo e l’ospedale di Alba voluto da Bresso.
E il “buco della sanità” ha continuato a crescere.
Ogni anno che passa si stringono i buchi del setaccio chiedendo a tutti di fare uno sforzo per invertire la tendenza ed approvando “piani di rientro” che dovrebbero servire a raggiungere l’obiettivo. Ogni anno si prende atto, invece, dell’allargamento del buco per motivi ogni volta diversi.
Nel periodo Bresso, ad esempio, si mise in atto una importante riorganizzazione delle ASL regionali e l’obiettivo, ovviamente, era quello di “razionalizzare” e di “risparmiare”. Il risultato sul piano economico non fu quello perché i bilanci delle ASL pareggiavano contabilizzando entrate dalle ASL confinanti per prestazioni sanitarie erogate a pazienti provenienti dal loro territorio.
I crediti (veri o presunti!) delle singole ASL sono risultati non esigibili al momento dell’accorpamento ed anno contribuito, con la sopravalutazione dei beni patrimoniali, ad incrementare di circa 350 milioni di euro il disavanzo della sanità piemontese.
Per pagare i debiti e per far funzionare i servizi occorre danaro e le banche sono disposte a prestarlo pagando un interesse adeguato. La voce degli interessi passivi incide ogni anno, in modo rilevante, sul bilancio della Regione e per ottenere i prestiti servono garanzie.
La cartolarizzazione dei beni delle ASL è stata utilizzata soprattutto a garanzia del prestito e l’alienazione di alcuni beni, previa valorizzazione patrimoniale degli stessi, ha permesso di finanziare nuovi progetti di edilizia sanitaria in fase di realizzazione o di prossimo avvio (ospedale di Vercelli, di Novara e di Moncalieri). Certo è che la progressiva alienazione dei beni delle ASL senza un effettivo, concreto e progressivo risanamento del “buco della sanità” può portare al collasso definitivo del sistema sanitario regionale, con gravi conseguenze sulla tipologie e sulla qualità dei servizi erogati.  
Anche lo Stato ha fatto la sua parte nell’alimentare “il buco”: tagli, ritardi e dilazioni di trasferimento  di risorse sono stati (e sono tutt’ora) maggiori costi per la Regione che, se non vuole tagliare i servizi, deve ricorrere ulteriormente alle banche.
Senza scostarsi dalla liturgia della denuncia pubblica del “buco della sanità” il nuovo Governo regionale di centrodestra ha lanciato l’allarme con “l’operazione verità”:  la tesi sostenuta è che dai conti regionali mancherebbero all' appello oltre due miliardi, fra "sovrastime delle entrate legate al gettito Irap" (615 milioni sul bilancio 2010), "prestiti bancari" (509 anticipati da Unicredit per un credito del Piemonte nei confronti dello Stato) e "deficit della sanità" (823 milioni che la Regione deve alle Asl), solo per citare le voci principali.
L’unica cosa certa è che i circa 100 milioni di euro annui per l’ammortamento dei mutui, sebbene contratti da Giunte diverse, si riferiscono ad un debito prevalentemente generato negli anni ‘90 e che quel debito anziché essere aggredito e risolto è rimasto pressoché invariato, se non leggermente incrementato dalle varie Giunte. I conti attuali sembrano propendere per un ulteriore aggravamento del debito a causa della sovrastima delle entrate e dei mancati o ritardati trasferimenti statali. 
Anche la Giunta Cota ha scelto la strada della programmazione ed ha affidato all’Agenzia Regionale per i Servizi Socio Sanitari (ARESS) il delicato compito di redigere un nuovo piano sanitario i cui tratti sono già trapelati in occasione di alcuni incontri pubblici e stanno già facendo discutere.
Al di là dell’agone politico e delle diverse valutazioni, sembra interessante sottolineare il nuovo approccio nella comunicazione dell’esigenza di ridurre la spesa ospedaliera già evidenziata anche dai precedenti Governi regionali: non si parla più di chiudere ospedali perché inutilmente costosi o perché potenzialmente pericolosi per la bassa qualità delle prestazioni erogate ma di “metterli in rete” e di valutare l’efficienza delle strutture in rapporto ai “costi standard” definiti in un modello virtuoso di riferimento.
E’ chiaro fin da subito che, pur senza rinunciare alla liturgia del dissenso che gli compete, la minoranza consiliare e gli oppositori del territorio concentreranno la discussione sulla scelta dei parametri di riferimento utilizzati per definire i “costi standard”.
Le analisi sulla spesa ospedaliera fatte dai consulenti e dagli esperti di questa o di quell’atra maggioranza di Governo hanno quasi sempre restituito “graduatorie” di efficienza con strutture virtuose e strutture spendaccione o inefficienti ma meriti e demeriti variavano in rapporto ai parametri utilizzati.  Una torta è sempre una torta ma se cambiano gli ingredienti o si utilizzano in proporzioni diverse i risultati cambiano.
Se si assumeranno come “standard” i costi di ospedali che intervengono in situazioni di particolare complessità (come ad es nel settore dei trapianti) gli indici di “efficienza” di tutti gli altri ospedali balzeranno alle stelle mentre, in caso contrario, si dovrà dire addio alle punte più avanzate della sanità pubblica piemontese.
Mi sembra che tutti siano d’accordo nel dire che c’è un deficit nella sanità, tutt’altro che trascurabile, che deve essere affrontato. Fino ad oggi l’esercizio più praticato sembra essere stato quello della ricerca del colpevole, non quello della ricerca di una soluzione.
Vista la complessità del tema e l’inevitabile “parzialità” dell’analisi sarebbe invece molto opportuno che si facesse, tutti, un passo indietro per trovare un’intesa “sopra le parti”.
Se sarà necessaria, come sembra essere, una politica di rigore che potrebbe condurre alla chiusura di qualche ospedale o al taglio di qualche servizio al cittadino, dovrà essere condivisa a larga maggioranza per evitare, come fino ad oggi è accaduto, che l’opposizione di turno trovi linfa vitale per ribaltare il consenso elettorale ma che non abbia poi la forza e la capacità di mettere in atto politiche efficaci che richiedono periodi superiori a quello del mandato degli elettori.
Purtroppo la litigiosità tra i partiti, anche tra quelli di uno stesso schieramento, non lascia spazio ad ipotesi di lavoro serie e sembra prevalere la ricerca del consenso basato sulla demagogia, sul populismo o sulle inchieste della magistratura che, dall’inefficienza e dalla scarsa responsabilità della politica, trae la sua ragione di essere.
Il Piemonte può e deve continuare ad essere un polo sanitario che attrae pazienti da altre regioni per la qualità delle prestazioni che sa ancora erogare. Tra le voci che alimentano il deficit regionale ce n’è una che deve far riflettere: cresce il numero dei pazienti piemontesi che si rivolge alla sanità lombarda che non ha nulla da insegnare sul piano della competenza medico chirurgica ma che sa essere più efficiente, purtroppo anche a scapito dell’appropriatezza delle prestazioni erogate. 

Gianfranco Corgiat Loia

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