martedì 13 settembre 2011

Anche le fatalità dipendono dall’uomo, nulla avviene per caso.


Secondo alcune compagnie assicurative europee specializzate, i danni economici causati da disastri naturali sarebbero cresciuti di 9 volte nell’ultimo trentennio ed il dato sembra essere avvalorato da autorevoli studiosi secondo i quali i danni economici del cambiamento climatico potrebbero raggiungere i 300 miliardi di dollari annui nel 2050.
Per fortuna le catastrofiche previsioni della scienza non sono sempre confermate dai fatti e basta richiamare la BSE, la SARS, le spore di antrace,  l’influenza aviaria e l’influenza suina per dimostrare l’assoluta sproporzione tra la gravità dei problemi accennati e le imponenti e costose azioni di contrasto e di controllo adottate.
Si registra una pericolosa tendenza ad affrontare in modo prioritario i rischi costruiti dai media (per incapacità comunicativa della scienza e per protagonismo della politica) trascurando quelli più gravi ma meno pubblicizzati. Mai è stata così accentuata la forbice tra rischio reale e rischio percepito!.
I troppi allarmi esagerati degli ultimi anni hanno contribuito a generare diffidenza anche nei confronti  dei segnali di preoccupazione lanciati dagli scienziati che denunciano i pericoli del riscaldamento globale. Si temono nuove enfatizzazioni e si tende a minimizzare il problema, ma il problema c’è.
Quando i cambiamenti non sono repentini e si misurano con piccoli ma costanti scarti dalla consuetudine e con osservazioni che non consentono valutazioni univoche è più difficile comunicare il rischio. La popolazione tende a sottovalutare il problema anche per non dover cambiare comode abitudini e consolidati comportamenti, anche quando si dimostrano sbagliati.

Ciò premesso, è indubbio che la popolazione mondiale crescente e le attività antropiche abbiano contribuito in modo decisivo alla fase di riscaldamento del clima terrestre degli ultimi 100 anni e che questi cambiamenti abbiano inciso ed incideranno ancor di più sulla salute della popolazione, degli animali e delle piante.
Non è un segreto che circa un quarto delle malattie presenti nel mondo siano dovute alla contaminazione dell’aria, acqua, suolo e cibo e che negli ultimi 25 anni la temperatura media dell’atmosfera sia salita di circa 1 grado Fahrenheit.
Il cambiamento climatico accelera la diffusione delle malattie infettive perché le temperature globali più miti ampliano l’areale di trasmissione. Le condizioni climatiche influiscono su malattie trasmesse tramite vettori come le zanzare (malattie a trasmissione vettoriale) o attraverso i roditori (malattie a trasmissione animale).
Il variare della temperatura può rendere un habitat più favorevole all’insediamento e allo sviluppo di un particolare vettore prima non segnalato in quell’area. Il vettore non è il solo a spostarsi: anche gli agenti patogeni in grado di infettarlo viaggiano nel mondo con le merci e le persone.
Le malattie trasmesse da vettori sono un gruppo eterogeneo di infezioni e possono avere origine virale, batterica e parassitaria. Il ciclo della malattia inizia, di norma, con il passaggio dell’agente patogeno a un artropode vettore, responsabile, a sua volta, della trasmissione della malattia agli animali sensibili.
Uno stesso vettore può essere in grado di acquisire e trasmettere diversi agenti infettanti. La zanzara tigre (Aedes albopictus), ad esempio, è potenzialmente in grado di diffondere una ventina di virus differenti, tra cui Dengue, Chikungunya, Febbre Gialla e West Nile disease (WND), che possono interessare gli animali e, in alcuni casi, l’uomo.
La zecca Ixodes ricinus, può trasmettere contemporaneamente specie diverse di borrelie, ehrlichie, rickettsie, babesie ed il virus della meningoencefalite da zecche (tick borne encephalitis - TBE).
Blue tongue, Chikungunya, West Nile disease e TBE sono alcuni esempi recenti di malattie emergenti e riemergenti che hanno interessato l’Europa e il cui andamento è stato condizionato anche dai cambiamenti climatici.
Fino a qualche anno fa la blue tongue (malattia dei ruminanti non trasmissibile all’uomo) era considerata una malattia esotica perché la sua diffusione era sostanzialmente limitata all’area geografica tropicale e sub-tropicale.
L'aumento delle temperature ha consentito agli insetti del genere Culicoides, vettori della malattia, di aumentare la capacità  (competenza) di trasmettere in modo efficiente l’infezione, rendendo possibile una rapida diffusione della “malattia della lingua blu” in Europa meridionale e centro-settentrionale.
La Chikungunya è una malattia di origine virale trasmessa con la puntura di una zanzara. Bacino endemico della malattia sono diverse zone tropicali dell’Asia e dell’Africa ma, a causa dell’aumento della temperatura, nell’agosto del 2007, la Chikungunya è stata notificata anche in alcune località dell’Emilia-Romagna, in particolare, nella provincia di Ravenna.
Grazie alla concomitanza di condizioni ambientali e climatiche favorevoli la West Nile disease  (WND) si è diffusa in modo abnorme negli USA (circa 30000 casi umani tra il 1999 e 2009) e più recentemente in alcune zone europee. La malattia virale può colpire anche l’uomo per il tramite di zanzare che diffondono il virus specialmente in presenza di temperature elevate e piogge intense.
Desta particolare preoccupazione la meningoencefalite da zecche (TBE), malattia virale trasmessa da zecche: in questo caso il virus infetta soprattutto i roditori, gli ungulati selvatici e i piccoli ruminanti e l’uomo può contrarre l’infezione attraverso il morso di zecche infette.
In alcuni Paesi del nord Europa la presenza di TBE è aumentata notevolmente a partire dalla metà degli anni '80 a causa degli inverni più miti, le primavere anticipate, la maggiore presenza dell’attività umana nelle aree in cui sono presenti le zecche, l’ aumento degli animali selvatici nelle aree di rimboschimento e la scomparsa dei predatori naturali. I cambiamenti climatici hanno anche favorito l’espansione delle zecche in nuovi ecosistemi, tant’è il ritrovamento di Ixodes ricinus sopra i 1000 metri è diventato tutt’altro che infrequente

Variazioni climatiche e agricoltura

Virus batteri e parassiti non colpiscono soltanto gli animali e l’uomo.
I potenziali effetti dei cambiamenti climatici sulle colture agricole e sulle malattie delle piante hanno cominciato ad essere indagati a partire dagli anni settanta e malgrado il progresso delle tecnologie agrarie (cultivar più produttive, strategie innovative di difesa, fertilizzazione), il clima può causare notevoli perdite nelle produzioni vegetali.
I cambiamenti climatici possano indurre variazioni nelle produzioni agricole a causa di effetti diretti sulla fisiologia e sulla morfologia delle colture e di effetti indiretti sul ciclo degli elementi nutritivi, sull’interazione coltura-infestante e sulla comparsa di patogeni e insetti dannosi.
Considerati i costi elevati di prove sperimentali condotte in ambiente protetto (celle fitotroniche, camere di crescita, tunnel) o in condizioni di campo le conoscenze relative all’impatto dei cambiamenti climatici sulle malattie delle piante poggiano prevalentemente sull’impiego di modelli di simulazione (climatica, produttiva ed epidemiologica) che aiutano a comprendere in quale modo i patosistemi possono reagire ai cambiamenti.
In Piemonte è attiva da alcuni anni una rete agro-metereologica che fornisce utili indicazioni agli agricoltori per il calendario dei trattamenti fitosanitari.
L’aumento delle temperature può avere, in agricoltura, una doppia valenza: può favorire l’estensione delle colture in zone finora climaticamente meno adatte o avverse ma, nello stesso tempo, favorisce l’intensificarsi di fenomeni atmosferici estremi e la possibilità per alcuni microrganismi e parassiti di riprodursi più frequentemente con gravi danni alle coltivazioni ed effetti negativi sulla produzione agricola.

La ricetta europea: aumentare la resilienza.

L’impatto del clima sulla salute degli animali e delle piante è stato sinteticamente accennato ma i danni causati dall’innalzamento del clima sono molto più ampi e complessi. Si dice che 2 gradi celsius in più siano sufficienti a distruggere le barriere coralline e che 4 gradi in più possano sommergere di acqua New York.
Forse non è vero ma non conviene provare.
L’Europa ha avviato da qualche anno una riflessione sul tema e nel 2009 ha pubblicato un “libro bianco” dal titolo “L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo”. La proposta di bilancio 2014-2020 riprende il tema dei cambiamenti climatici vincolando una buona parte delle risorse alla riduzione dell’impatto delle attività antropiche.
E’ certamente apprezzabile la scelta di affrontare questo delicato tema in modo trasparente e pubblico ma appare discutibile l’approccio che, in sostanza, prende atto del cambiamento del clima, ipotizza mutamenti negativi sull’ambiente e sulla salute delle popolazioni umane ed animali e propone come soluzione l’aumento della “resilienza” delle politiche sociali e delle politiche della salute, dell’agricoltura e delle foreste, della biodiversità, degli ecosistemi e delle acque, delle zone costiere e marine, dei sistemi di produzione e delle infrastrutture fisiche.
In linea generale, per resilienza si intende la capacità di riadattamento di fronte ad avversità, traumi, tragedie, minacce. In ecologia e biologia la resilienza è la capacità di un ecosistema (inclusi quelli umani come le città) o di un organismo di autoripararsi dopo un danno.
Chissà se riusciremo ad imboccare la strada della prevenzione e non quella dell’autoriparazione del danno. Ma con un po’ di ottimismo si può pensare che “resilienza” significhi capacità di "riprendersi" dalle esperienze difficili. Speriamo nella ripresa.