Secondo alcune compagnie assicurative europee specializzate,
i danni economici causati da disastri naturali sarebbero cresciuti di 9 volte
nell’ultimo trentennio ed il dato sembra essere avvalorato da autorevoli
studiosi secondo i quali i danni economici del cambiamento climatico potrebbero
raggiungere i 300 miliardi di dollari annui nel 2050.
Per fortuna le catastrofiche previsioni della scienza non
sono sempre confermate dai fatti e basta richiamare la BSE, la SARS, le spore
di antrace, l’influenza aviaria e
l’influenza suina per dimostrare l’assoluta sproporzione tra la gravità dei
problemi accennati e le imponenti e costose azioni di contrasto e di controllo
adottate.
Si registra una pericolosa tendenza ad affrontare in modo
prioritario i rischi costruiti dai media (per incapacità comunicativa della
scienza e per protagonismo della politica) trascurando quelli più gravi ma meno
pubblicizzati. Mai è stata così accentuata la forbice tra rischio reale e
rischio percepito!.
I troppi allarmi esagerati degli ultimi anni hanno
contribuito a generare diffidenza anche nei confronti dei segnali di preoccupazione lanciati dagli scienziati che
denunciano i pericoli del riscaldamento globale. Si temono nuove enfatizzazioni
e si tende a minimizzare il problema, ma il problema c’è.
Quando i cambiamenti non sono repentini e si misurano con
piccoli ma costanti scarti dalla consuetudine e con osservazioni che non
consentono valutazioni univoche è più difficile comunicare il rischio. La
popolazione tende a sottovalutare il problema anche per non dover cambiare
comode abitudini e consolidati comportamenti, anche quando si dimostrano
sbagliati.
Ciò premesso, è indubbio che la popolazione mondiale
crescente e le attività antropiche abbiano contribuito in modo decisivo alla
fase di riscaldamento del clima terrestre degli ultimi 100 anni e che questi
cambiamenti abbiano inciso ed incideranno ancor di più sulla salute della
popolazione, degli animali e delle piante.
Non è un segreto che circa un quarto delle malattie presenti
nel mondo siano dovute alla contaminazione dell’aria, acqua, suolo e cibo e che
negli ultimi 25 anni la temperatura media dell’atmosfera sia salita di circa 1
grado Fahrenheit.
Il cambiamento climatico accelera la diffusione delle
malattie infettive perché le temperature globali più miti ampliano l’areale di
trasmissione. Le condizioni climatiche influiscono su malattie trasmesse
tramite vettori come le zanzare (malattie a trasmissione vettoriale) o
attraverso i roditori (malattie a trasmissione animale).
Il variare della temperatura può rendere un habitat più
favorevole all’insediamento e allo sviluppo di un particolare vettore prima non
segnalato in quell’area. Il vettore non è il solo a spostarsi: anche gli agenti
patogeni in grado di infettarlo viaggiano nel mondo con le merci e le persone.
Le malattie trasmesse da vettori sono un gruppo eterogeneo
di infezioni e possono avere origine virale, batterica e parassitaria. Il ciclo
della malattia inizia, di norma, con il passaggio dell’agente patogeno a un
artropode vettore, responsabile, a sua volta, della trasmissione della malattia
agli animali sensibili.
Uno stesso vettore può essere in grado di acquisire e
trasmettere diversi agenti infettanti. La zanzara tigre (Aedes albopictus),
ad esempio, è potenzialmente in grado di diffondere una ventina di virus
differenti, tra cui Dengue, Chikungunya, Febbre Gialla e West Nile disease
(WND), che possono interessare gli animali e, in alcuni casi, l’uomo.
La zecca Ixodes ricinus, può trasmettere
contemporaneamente specie diverse di borrelie, ehrlichie, rickettsie, babesie
ed il virus della meningoencefalite da zecche (tick borne encephalitis -
TBE).
Blue tongue, Chikungunya, West Nile disease e
TBE sono alcuni esempi recenti di malattie emergenti e riemergenti che
hanno interessato l’Europa e il cui andamento è stato condizionato anche dai
cambiamenti climatici.
Fino a qualche anno fa la blue tongue (malattia
dei ruminanti non trasmissibile all’uomo) era considerata una malattia esotica
perché la sua diffusione era sostanzialmente limitata all’area geografica
tropicale e sub-tropicale.
L'aumento delle temperature ha consentito agli insetti del
genere Culicoides, vettori della malattia, di aumentare la capacità (competenza) di trasmettere in modo
efficiente l’infezione, rendendo possibile una rapida diffusione della
“malattia della lingua blu” in Europa meridionale e centro-settentrionale.
La Chikungunya è una malattia di origine virale trasmessa
con la puntura di una zanzara. Bacino endemico della malattia sono diverse
zone tropicali dell’Asia e dell’Africa ma, a causa dell’aumento della
temperatura, nell’agosto del 2007, la Chikungunya è stata notificata anche in
alcune località dell’Emilia-Romagna, in particolare, nella provincia di
Ravenna.
Grazie alla concomitanza di condizioni ambientali e
climatiche favorevoli la West Nile disease (WND) si è diffusa in modo
abnorme negli USA (circa 30000 casi umani tra il 1999 e 2009) e più
recentemente in alcune zone europee. La malattia virale può colpire anche
l’uomo per il tramite di zanzare che diffondono il virus specialmente in
presenza di temperature elevate e piogge intense.
Desta particolare preoccupazione la meningoencefalite da
zecche (TBE), malattia virale trasmessa da zecche: in questo caso il virus
infetta soprattutto i roditori, gli ungulati selvatici e i piccoli ruminanti e
l’uomo può contrarre l’infezione attraverso il morso di zecche infette.
In alcuni Paesi del nord Europa la presenza di TBE è
aumentata notevolmente a partire dalla metà degli anni '80 a causa degli
inverni più miti, le primavere anticipate, la maggiore presenza dell’attività
umana nelle aree in cui sono presenti le zecche, l’ aumento degli animali
selvatici nelle aree di rimboschimento e la scomparsa dei predatori naturali. I
cambiamenti climatici hanno anche favorito l’espansione delle zecche in nuovi
ecosistemi, tant’è il ritrovamento di Ixodes ricinus sopra i 1000 metri
è diventato tutt’altro che infrequente
Variazioni climatiche e agricoltura
Virus batteri e parassiti non colpiscono soltanto gli
animali e l’uomo.
I potenziali effetti dei cambiamenti climatici sulle colture
agricole e sulle malattie delle piante hanno cominciato ad essere indagati a
partire dagli anni settanta e malgrado il progresso delle tecnologie agrarie
(cultivar più produttive, strategie innovative di difesa, fertilizzazione), il
clima può causare notevoli perdite nelle produzioni vegetali.
I cambiamenti climatici possano indurre variazioni nelle
produzioni agricole a causa di effetti diretti sulla fisiologia e sulla
morfologia delle colture e di effetti indiretti sul ciclo degli elementi
nutritivi, sull’interazione coltura-infestante e sulla comparsa di patogeni e
insetti dannosi.
Considerati i costi elevati di prove sperimentali condotte
in ambiente protetto (celle fitotroniche, camere di crescita, tunnel) o in
condizioni di campo le conoscenze relative all’impatto dei cambiamenti
climatici sulle malattie delle piante poggiano prevalentemente sull’impiego di
modelli di simulazione (climatica, produttiva ed epidemiologica) che aiutano a
comprendere in quale modo i patosistemi possono reagire ai cambiamenti.
In Piemonte è attiva da alcuni anni una rete
agro-metereologica che fornisce utili indicazioni agli agricoltori per il
calendario dei trattamenti fitosanitari.
L’aumento delle temperature può avere, in agricoltura, una
doppia valenza: può favorire l’estensione delle colture in zone finora
climaticamente meno adatte o avverse ma, nello stesso tempo, favorisce
l’intensificarsi di fenomeni atmosferici estremi e la possibilità per alcuni
microrganismi e parassiti di riprodursi più frequentemente con gravi danni alle
coltivazioni ed effetti negativi sulla produzione agricola.
La ricetta europea: aumentare la resilienza.
L’impatto del clima sulla salute degli animali e delle
piante è stato sinteticamente accennato ma i danni causati dall’innalzamento
del clima sono molto più ampi e complessi. Si dice che 2 gradi celsius in più
siano sufficienti a distruggere le barriere coralline e che 4 gradi in più
possano sommergere di acqua New York.
Forse non è vero ma non conviene provare.
L’Europa ha avviato da qualche anno una riflessione sul tema
e nel 2009 ha pubblicato un “libro bianco” dal titolo “L’adattamento ai
cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo”. La proposta di
bilancio 2014-2020 riprende il tema dei cambiamenti climatici vincolando una
buona parte delle risorse alla riduzione dell’impatto delle attività
antropiche.
E’ certamente apprezzabile la scelta di affrontare questo
delicato tema in modo trasparente e pubblico ma appare discutibile l’approccio
che, in sostanza, prende atto del cambiamento del clima, ipotizza mutamenti
negativi sull’ambiente e sulla salute delle popolazioni umane ed animali e
propone come soluzione l’aumento della “resilienza” delle politiche sociali e
delle politiche della salute, dell’agricoltura e delle foreste, della
biodiversità, degli ecosistemi e delle acque, delle zone costiere e marine, dei
sistemi di produzione e delle infrastrutture fisiche.
In linea
generale, per resilienza si intende la capacità di riadattamento di fronte ad avversità,
traumi, tragedie, minacce. In ecologia e biologia la resilienza è la capacità
di un ecosistema (inclusi quelli umani come le città) o di un organismo di autoripararsi
dopo un danno.
Chissà se
riusciremo ad imboccare la strada della prevenzione e non quella
dell’autoriparazione del danno. Ma con un po’ di ottimismo si può pensare che
“resilienza” significhi capacità di "riprendersi" dalle esperienze
difficili. Speriamo nella ripresa.