giovedì 8 settembre 2011

Cibi halal e kasher: solo per le comunità religiose?

Poco prima delle vacanze estive è circolata una notizia riguardante l’approvazione da parte della Camera alta del Parlamento Olandese di una proposta di legge rivolta a vietare la macellazione rituale degli animali.
La decisione ha sollevato forti rimostranze da parte di ebrei e musulmani, non soltanto in Olanda, ma le accese critiche non hanno finora prodotto ripensamenti nelle fila dei parlamentare che hanno ritenuto di anteporre il benessere degli animali al rispetto delle tradizioni religiose che stanno alla base del cibo kashér e halàl destinato rispettivamente ai credenti ebrei e musulmani.
I rappresentanti delle due comunità hanno trovato materia per sodalizzare, tant’è che Ronnie Eisenmann, portavoce della comunità ebraica di Amsterdam, ha sostenuto che «il divieto non è solo un duro colpo contro gli ebrei, ma anche contro tutti i credenti ed è in contraddizione con la libertà di religione» e la comunità islamica ha subito rincarato la dose affermando che quella olandese «È una decisione statale che declassa musulmani ed ebrei a uomini che fanno qualcosa di male».
Gli animalisti hanno invece salutato la decisione con favore auspicando l’adozione di un analogo provvedimento in tutta l’ Europa.
Sulla questione sono intervenuti molti opinionisti e la discussione ha riguardato perlopiù il contrasto tra diritti dei credenti e diritti degli animali senza entrare nel merito di aspetti molto più pratici che possono coinvolgere migliaia di ignari consumatori di carne e che cercherò di sintetizzare brevemente.

Per motivi legati ai precetti religiosi le carni kashér e halàl devono provenire da animali perfettamente sani. I consumatori europei tendono a credere che la legislazione europea offra le stesse garanzie ma non è esattamente così. In tutta Europa si consumano carni sane che possono provenire anche da animali che si sono ammalati e che o per localizzazione del processo infiammatorio in organi che vengono normalmente eliminati  o per cronicizzazione dei processi con esiti di malattie non più in atto non presentano alcun rischio per il consumatore. D’altra parte, è logico e ragionevole ritenere che gli animali, durante la loro seppure breve esistenza, possano contrarre influenze, diarree, venire a contatto con parassiti e che, con adeguate terapie possano guarire conservando, tuttavia, le tracce del “passaggio” degli agenti eziologici (esiti di broncopolmoniti, fibrosi, tragitti di parassiti, ascessi circoscritti da spesse capsule connettivali ecc.).

Gli esiti di malattie da cui si è guariti si evidenziano, di norma, alla visita ispettiva post-mortem, ovvero dopo aver iniziato la macellazione con rito religioso e può pertanto verificarsi la possibilità che un animale abbattuto senza stordimento per produrre carni  kashér e halàl venga considerato non idoneo e le sue carni siano pertanto destinate al circuito delle macellerie normali.

I redditi delle famiglie appartenenti alle comunità religiose non sono alti e ciò determina un rapido consumo delle parti animali meno “nobili” (quarti anteriori e parti del cosiddetto quinto quarto) ed un esubero dei tagli più pregiati che sono invece più ambiti nelle  normali macellerie. Si può pertanto affermare che il flusso di carni tra i due circuiti commerciali è unidirezionale, ovvero, dalle macellazioni destinate a produrre carni kashér e halàl alle macellerie normali.  

E’ singolare che fino ad oggi la legislazione comunitaria in materia abbia considerato esclusivamente le esigenze di integrazione con gli altri popoli ed il rispetto per le altre culture e tradizioni senza preoccuparsi di salvaguardare la propria cultura e le proprie tradizioni mediante una netta separazione dei diversi circuiti commerciali ed una adeguata informazione dei consumatori.
Il diritto di ebrei e musulmani di consumare alimenti conformi alla loro cultura ed alle loro tradizioni dovrebbe essere almeno pari al diritto dei consumatori europei (cattolici o laici) di consumare carni provenienti da animali non sottoposti ad inutili sofferenze all’atto della macellazione.
Ma il consumatore è ignaro ed il tipico macellaio “tradizionale” trae vantaggi dal poter disporre di tagli pregiati a costi leggermente più bassi; sono quelli più richiesti dal mercato.   
Per un giusto e doveroso contrasto a tentazioni “fondamentaliste” o a rigurgiti xenofobi e nazisti si potrebbe quantomeno provare a identificare meglio le carni ottenute da macellazioni rituali in modo tale da informare correttamente i consumatori. Quello dell’etichettatura e della tracciabilità non sono forse temi attuali sui quali il nostro Paese si è speso molto? Perché non applicare le stesse regole anche alle carni ottenute da animali macellati senza stordimento?
Forse le due comunità religiose troverebbero più ragioni per sperimentare in modo ufficiale l’impiego di particolari storditori, già in uso da tempo in Turchia ed in Germania, che non penetrano nella teca cranica ma sono in grado di produrre una “anestesia” transitoria sufficiente ad affrontare la giugulazione degli animali senza inutili sofferenze.     
Sono convinto che il confronto aperto tra la nostra civiltà, quella islamica e quella ebraica possono favorire la ricerca di soluzioni rispettose dei diritti di tutti ma è necessario partire da un presupposto fondamentale: la libertà ed i diritti degli uni non devono configgere con la libertà ed i diritti degli altri. Pena l’adozione di norme restrittive o correttive da parte del Paese ospitante.
Gianfranco Corgiat Loia