giovedì 27 ottobre 2011

Ritorno dei contadini o affermazione dell’industria?

Si è recentemente svolta a Roma la “Giornata mondiale dell’alimentazione” e ancora una volta il tema della “sicurezza alimentare” è stato affrontato ponendo l’accento sulla “disponibilità” degli alimenti, prima ancora che sulla sanità ed igiene degli stessi. E’ vero che un alimento può causare danno alla salute soltanto se è disponibile ma è altrettanto vero che malnutrizione e fame sono causa di gravi malattie.
Il cibo può far male sia quando è troppo sia quando è insufficiente: anche per questo è giusto discutere di alimentazione e salute “a tutto campo”. Perché staremmo tutti meglio se chi ha troppo dividesse il cibo con chi ha poco o nulla.
Il problema è trovare la ricetta giusta.
“Via Campesina”, una organizzazione che raccoglie l'adesione di oltre 200 milioni di contadini nel mondo, ritiene che nel mondo si produca abbastanza cibo per sfamare tutti ma che il controllo delle risorse produttive della terra sia sempre più concentrato nelle mani di pochi.
La ricetta per combattere la fame nel mondo non è, quindi, quella di puntare sull’industria e sulle multinazionali del cibo ma di agire con politiche di sostegno rivolte ai piccoli  agricoltori ed alle pratiche agricole sostenibili.
Sono i contadini, e non le grandi industrie – ha affermato “Via Campesina” – a fare i maggiori investimenti in agricoltura. Le iniziative politiche dettate solo dagli interessi industriali e dai profitti non possono che  indebolire ulteriormente la posizione degli agricoltori e quella dei consumatori”.
Secondo la banca mondiale, negli ultimi due anni le fluttuazioni del prezzo dei prodotti agricoli  primari hanno spinto nella povertà estrema 70 milioni di persone mettendo bene in evidenza lo stretto legame tra produzione agricola mondiale, malnutrizione e fame,
L'ONU stima che nel 2040 il nostro pianeta sarà popolato da 9 miliardi di persone (ora 7 miliardi). L’Occidente ed il Nord del mondo, offuscati da un'offerta sovrabbondante rispetto ai bisogni reali, cercano di affrontare il problema dell'obesità diffusa e si dedicano alla ricerca esasperata della qualità della nutrizione e dei caratteri voluttuari e distintivi del cibo. Si è perso il senso del reale valore del cibo, del suo significato e delle sue origini e ignoriamo (o semplicemente abbiamo smesso di ricordare) che il cibo è il frutto del lavoro di famiglie di agricoltori e della fertilità della terra. Quella terra che continuiamo a consumare per opere che non sono sempre di pubblico interesse o a maltrattare con pratiche agricole che erodono o impoveriscono progressivamente il suolo agricolo e compromettono la qualità del paesaggio e dell'ambiente per le future generazioni.
Mario Liverani, docente universitario della Sapienza di Roma, afferma che "un popolo punta allo sviluppo quando produce eccedenza non per aumentare i consumi interni ma per creare    ricchezza da  investire in infrastrutture e ricerca."
Il nostro Paese, al contrario, produce meno di quanto consuma e ha tagliato oltre misura le   risorse destinate alla ricerca. Se la popolazione mondiale è destinata a crescere sensibilmente il cibo scarseggerà ed i Paesi da cui importiamo terranno per sé i loro prodotti primari, anche perché le loro popolazioni (anch’esse in crescita) stanno sviluppando una buona capacità negoziale.
Come potremo ritornare all’agricoltura dove abbiamo costruito strade, palazzi, centri commerciali e campi di pannelli fotovoltaici? Chiacchiere a parte, sembra che il nostro Paese non consideri l'agroalimentare un settore su cui investire per lo sviluppo.
La posizione del nostro Governo nazionale è schizofrenica: si tollerano le scorribande dei Cobas del latte, si cambia il ministro dell’agricoltura ogni anno, si riducono i finanziamenti all’agricoltura scaricando tutte le responsabilità sulla Politica Agricola Comunitaria (PAC), si oscilla tra il fascino delle politiche di qualità e di tutela del made in Italy e la competitività giocata in chiave esclusivamente industriale.
Che risposta vogliamo dare agli interrogativi emersi nel corso della giornata  mondiale dell’alimentazione? Scegliamo la strada dell’autarchia, della filiera corta, del prodotto del territorio (servirà prima o poi una definizione legale!), della piccola e media impresa o, invece, scegliamo la competizione con le agricolture europee e del resto del mondo puntando alla concentrazione delle imprese agricole,  all’industrializzazione dei processi, alla riduzione forzata dei costi di produzione.
Quando con le nuove regole della PAC la Lituania riceverà più soldi per ogni ettaro coltivato e l’Italia avrà una riduzione stimata in circa il 20% sarà difficile competere sul prezzo dei prodotti se non saremo in grado di collegare il prezzo al valore degli stessi. Sarà ancora più difficile trovare materie prime di buona qualità adatte per fabbricare prodotti IGP ed altri “prodotti tipici” italiani. Forse è giunto il momento di ritornare a coltivare la terra per garantire entrambe le aspettative legate al concetto di sicurezza alimentare: la disponibilità e la qualità igienico-sanitaria.
Solo così si potranno attuare politiche credibili di tutela e valorizzazione dei prodotti tipici e tradizionali del nostro Paese. L’alternativa consiste nell’imparare a mangiare per vivere e non a vivere per mangiare prodotti che ricadono sempre più nella sfera dei desideri e sempre meno in quella del bisogno concreto.

Gianfranco Corgiat