martedì 15 novembre 2011

Sistemi di qualità e burocrazia


Quando si parla di sicurezza alimentare la discussione prende spunti dalle aspettative e dalle critiche dei produttori e dei consumatori. In mezzo, vive e prolifera il sistema dei controlli.
Ogni tanto qualcuno si accorge che per consumare è necessario produrre in proprio o acquistare e che parte del mondo non è in grado di fare né l’una né l’alta cosa. Ma questo è un altra storia.  
Da qualche anno, in Italia si discute del peso delle scartoffie, della burocrazia inutile, della necessità di porvi rimedio e, in materia di sicurezza alimentare, la discussione non contrappone più i produttori e i consumatori ma li vede alleati contro i controllori.
Da una parte li si accusa di essere inutilmente attaccati alla forma ed alle carte, dall’altra di non essere efficienti ed efficaci nel garantire e certificare la sicurezza dei prodotti.
I produttori si lamentano perché i controlli sono troppi, inutili e costosi e i consumatori si lamentano perché i controllori sembrano non essere in grado di prevenire e di reprimere le attività illecite che portano periodicamente a scandali o ad allerta di rilevanza internazionale.
Sembra essere sfuggito un importante cambiamento nella politica comunitaria, avvenuto a ridosso dei due secoli, che in sintesi può essere riassunto in pochi punti:
  1. le politiche di tutela dei consumatori adottate in Europa negli anni ’80 e ’90 si sono rivelate poco efficaci perché l’attenzione sulla qualità delle strutture di produzione ed i controlli sui prodotti già in commercio non sono bastati a scongiurare le grandi emergenze sanitarie di quegli anni.
  2. Gli “agguati” ed i “blitz” sono strumenti forse utili per le forze di polizia ma non consentono di esercitare quelle funzioni proprie delle organizzazioni sanitarie che vanno sotto il nome di “prevenzione” La magistratura cerca i colpevoli, le Asl devono cercare le soluzioni per evitare che gli illeciti si ripetano..
  3. Il miglioramento delle tecnologie dei laboratori ed il conseguente aumento della sensibilità dei metodi di analisi richiedono un diverso approccio al campionamento degli alimenti ed all’interpretazione dei risultati.
  4. Il costo delle attività analitiche moderne (in particolare per i controlli chimici) rischia di non essere compatibile con le esigenze di competitività delle imprese di produzione. L’analisi di laboratorio deve assumere un significato diverso (orientamento al processo e non al prodotto).
  5. La sicurezza alimentare è un fatto “di filiera” e come tale va affrontato eliminando la segmentazione dei controlli ed individuando nuovi punti critici “di filiera” meno onerosi e più efficaci.
Questo cambiamento radicale di approccio non poteva trascurare il tema delle relazioni tra imprese di produzione gli organi di controllo ed consumatori ed è così che le norme comunitarie hanno ridefinito ruoli e responsabilità dei vari attori della filiera con una netta demarcazione tra i due  “sistemi di controllo” (quello pubblico e quello privato), anche in termini di costi.
I cosiddetti “Operatori del Settore Alimentare” (OSA) concorrono al raggiungimento degli obiettivi di sicurezza degli alimenti con alcuni obblighi:
  1. l’autocontrollo (HACCP), compreso il costo delle eventuali analisi di laboratorio
  2. il concorso economico per il finanziamento delle attività di controllo e certificazione pubblica
  3. la formazione dei propri addetti
Ciò premesso, l’Autorità pubblica di controllo non dovrebbe fare le stesse cose che faceva negli anni ’80 ma avrebbe già dovuto sviluppare nuove modalità di controllo, diverse in termini quantitativi e qualitativi.
Veniamo ora ad un’altra nota dolente: la cattiva burocrazia e la produzione di scartoffie.
E’ un tema scottante e molto caro, così sembrerebbe, anche ai politici, alcuni dei quali ne hanno fatto addirittura una bandiera elettorale con scarso successo, per ora, sull’attuale organizzazione della pubblica amministrazione. Si bruciano le vecchie leggi in piazza ma si sostituiscono subito con altrettante norme che hanno un difetto in più: sono anche frammentarie e disorganiche.
Si dice che “il sistema tende a replicare se stesso” e così è effettivamente avvenuto durante il passaggio critico a ridosso dei due secoli: la burocrazia al potere, forse anche per non mettere in discussione la propria organizzazione, non ha saputo sostituire le vecchie abitudini con le nuove regole e non ha saputo applicare con intelligenza i nuovi e moderni indirizzi comunitari.
Basta leggere la relazione sul piano nazionale di controllo ufficiale degli alimenti del 2010 redatta dal Ministero della Sanità per accorgersi che poco è cambiato rispetto alla fine del secolo scorso:
  • mancanza di dati sulla consistenza delle forze in campo (Ministero della Salute, Regioni, ASL, GdF, NAS, Agenzia delle Dogane, ICQRF).
  • grande enfasi sull’efficienza del sistema (elevato numero di sopralluoghi)
  • irregolarità che sfiorano il 13% delle unità controllate (prevalentemente nella ristorazione) ma che sembrano perdurare nel tempo;
  • su 118603 campioni analizzati risultano irregolari il 2,6% ma non si riesce a capire se dobbiamo preoccuparci dei microinquinanti ambientali, di patogeni emergenti o di tecnologie troppo aggressive;
  • dati non facilmente interpretabili o contraddittori. Nella relazione di accompagnamento si legge che “le unità con infrazioni sono state 50.929” ma la somma dei provvedimenti amministrativi assunti dai Servizi delle ASL e dal NAS ammonta a 87.342 a cui vanno sommate le denunce penali che risultano essere 6003. Non abbiamo notizie sull’esito dei procedimenti avviati (condanne, assoluzioni, archiviazioni, pagamento sanzioni ecc.).
Il balletto di cifre e le decine di pagine scritte non sembrano segnare una svolta nel sistema di controllo nazionale: le aziende irresponsabili (quelle che risultano essere state denunciate per gravi illeciti) convivono con le aziende virtuose ed il maggiore costo dei controlli sulle aziende più a rischio continua ad essere spalmato anche sulle aziende che hanno imparato a gestire correttamente i loro processi produttivi.
Un sistema apparentemente molto efficiente che ha probabilmente come deterrente per le irregolarità rilevate nei controlli il solo costo della parcella degli avvocati difensori. 
Ma un dato accomuna tutti: l’enorme quantità di carta prodotta ed il fiorire di consulenti di vario tipo che si nutrono di burocrazia, quella.
Quando si parla di competitività delle aziende occorre agire sul taglio di questi inutili costi per le imprese e sulla necessità di passare dagli adempimenti formali (tanto cari alla cattiva burocrazia) agli interventi di sostanza, spesso più difficili ma che radicano nuove culture produttive.
La Sanità pubblica che non sa rinnovarsi fa la fortuna delle società di consulenza, di formazione sui sistemi di certificazione e di valutazione.
La Sanità pubblica che non sa rinnovarsi “va a scuola” dalle Associazioni accreditate private per imparare a svolgere i propri compiti pubblici. Qualcosa non va!
Un tempo non lontano era la Sanità pubblica che sceglieva gli strumenti più adatti per raggiungere gli scopi e gli “ingegneri di sistema” costruivano i loro modelli sui nostri saperi.
Oggi, anche per colpa nostra, si è fatta strada l’idea che gli “ingegneri di sistema” possano definire a priori la cornice e la sanità pubblica debba, a fatica, seguirli a ruota disegnando i contenuti del quadro.
La Sanità Pubblica piemontese non ha finora saputo cogliere l’importanza dei cambiamenti voluti dall’UE e ha perso l’occasione di unificare le funzioni ed i Servizi che si occupano di sicurezza alimentare e di disegnare un nuovo corso delle attività di prevenzione nel settore agro-alimentare.
Chi sostiene di voler combattere le scartoffie e la cattiva burocrazia deve stare in guardia da chi propone modelli che garantiscono lavoro e risorse a chi si nutre di complicazioni burocratiche.
Le complicazioni sono la linfa delle consulenze esterne, dei sistemi di qualità, di certificazione privata e sono la premessa per arrotondare gli stipendi di qualche “esperto” della pubblica amministrazione che anziché promuovere l’innovazione interna trova più vantaggioso farsi pagare anche dal settore privato per parlare male di quello pubblico.
I sistemi di qualità, di controllo e di certificazione privati possono essere molto utili nell’ambito di rapporti di tipo contrattuale tra imprese private ma la Sanità Pubblica deve avere strumenti di controllo propri, non scimmiottare il privato.
Se così non fosse verrebbe da interrogarsi sul futuro della Sanità pubblica: perché, in tempo di grave crisi economica, si dovrebbe continuare a pagare un sistema di controllo pubblico oneroso se se questo sistema si allinea passivamente a quello privato?
Comprare servizi è più semplice, forse meno oneroso e non in contrasto con le misure rivolte a tagliare il pubblico impiego. I fanatici dei sistemi di qualità riflettano e i paladini della sburocratizzazione si mettano il cuore in pace perché la burocrazia sopravviverà a tutti i cambiamenti. Si può anche discutere sul troppo o sul poco ma è molto importante puntare, indipendentemente dalla connotazione pubblica o privata, all’obbiettivo della qualità: burocrazia utile e giusta.
Gianfranco Corgiat Loia