martedì 6 dicembre 2011

Informare senza inganni: è l'obiettivo nel nuovo regolamento UE sull'etichettatura degli alimenti.


Seppure con qualche riserva, si registra una soddisfazione generale per le nuove regole di etichettatura previste dal Regolamento UE n. 1169 del 25 ottobre 2011 (pubblicato sulla GUCE L304/18), che ogni giornalista e commentatore ha "interpretato" a piacimento.
Sembrano contenti anche i più integralisti tra i rappresentanti degli agricoltori, eppure, non più tardi di qualche mese fa, erano in molti a lamentarsi della "nazionalizzazione" delle materie prime importate, e a mobilitarsi, come hanno fatto gli allevatori del Mantovano per tutelare i "prosciutti italiani" da quelli ottenuti con cosce importate dall'Olanda o dal Belgio.
Ora, il nuovo regolamento dell’UE ha consacrati definitivamente i prosciutti cotti “euro-italiani”.  
Il Regolamento 2913 del 12 ottobre 1992, a cui si rimanda, prevede infatti (art. 24) che “una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più Paesi è originaria del Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in una impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.”
D’altra parte, l’Italia è un paese di bravi trasformatori e riesce ad ottenere buoni prodotti anche da materie prime di basso costo provenienti da Paesi asiatici, africani o nord europei. Perché non rivendicare il “made in Italy” anche per le indubbie capacità dell’industria di trasformazione – dicono gli artigiani e gli industriali del settore agroalimentare -  la mortadella è buona non tanto per merito delle materie prime utilizzate quanto (soprattutto) per la capacità di trasformarle.
Non c’è dubbio che le stesse cosce di maiale trasformate in nord Europa o in Italia diventano prodotti diversi e che il “savoir faire”  fa la differenza ma questa argomentazione non soddisfa l’allevamento del “suino pesante padano” che qualcuno, per ragioni di comunicazione (a proposito di informazione dei consumatori!) ha trasformato in  “gran suino padano”
In buona sostanza l’Europa ha ribadito che le cosce di origine Danese o Belga trasformate in prosciuttifici italiani continueranno ad uscire dagli stabilimenti nazionali come “prosciutti italiani”.

Il nuovo regolamento UE è, prevalentemente, una riscrittura organica ed integrata di norme già in vigore in Europa e nel nostro Paese ma non mancano alcuni elementi di novità tutt’altro che secondari. Vediamone alcuni.

Competenze

La normativa italiana sull’etichettatura degli alimenti è nata e si è sviluppata sul crinale che separa gli interessi dell’l’Industria da quelli della Sanità, con scarsa attenzione alle istanze degli agricoltori e delle loro rappresentanze.
Tutto ciò non è casuale: le Organizzazioni dei consumatori sono collocate presso le Amministrazioni dell’Industria e del Commercio e non presso le Amministrazioni della Sanità o dell’Agricoltura. Da qui l’ambiguità di fondo: l’etichetta risponde a norme di tipo metrologico commerciale che comprendono la tutela degli “interessi dei consumatori” ma si parte dal principio (sacrosanto) che la salubrità dei prodotti sia un prerequisito e che lo scopo dell’etichetta sia quello di fornire ai consumatori uno strumento per conservare la qualità igienico sanitaria dei prodotti così come presentati nei banchi di vendita.
Molto si è discusso negli anni passati sulle competenze sanzionatorie ma l’orientamento generale è sempre stato abbastanza chiaro: la competenza è del Commercio e non della Sanità, tant’è che il contenzioso amministrativo fa capo alle Camere di Commercio e non alle ASL.
Nonostante ciò le violazioni sulle modalità di conservazione degli alimenti hanno dato origine a procedimenti penali per “cattiva conservazione” (art.5 della L.283/62) ed il concetto di “scadenza” ha assunto un significato che va oltre le previsioni della norma che ha come oggetto “i prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore” e non quelli tolti dagli scaffali di vendita per una eventuale rilavorazione.
Il concetto di “scaduto” previsto dalla normativa sull’etichettatura ha così via via assunto impropriamente il significato di “alterato”, ovvero di “non più idoneo al consumo alimentare umano”.
Sappiamo invece che il mercato delle cosiddette “materie prime seconde” è fiorito proprio sull’opportunità di recupero dei “resi alimentari” che, opportunamente trasformati, ritornano sul mercato sotto altre forme o come ingredienti di altri prodotti.
Una novità di non poco conto sul piano organizzativo è l’aggancio delle norme sull’etichettatura al Regolamento 882/04 che disciplina i controlli sulla sicurezza alimentare poiché questo comporterà l’inserimento dei controlli sull’etichettatura nel Piano Nazionale Integrato (MANCP) la cui redazione ed attuazione è di competenza del Servizio Sanitario nazionale e del NAS dei Carabinieri.
Ad oggi, l’attuazione dei Regolamenti sull’etichettatura obbligatoria delle carni bovine ed avicole fa capo al Ministero delle Politiche Agricole ed i controlli sono pianificati dall’amministrazione agricola locale che può convenzionarsi con i Servizi Veterinari delle ASL per l’esecuzione dei controlli.
Sarà interessante seguire gli sviluppi a livello ministeriale, visto che le relazioni tra Sanità ed Agricoltura in materia di controlli non sono mai state buone! 

TMC e scadenza

Ai sensi del nuovo regolamento comunitario il termine minimo di conservazione (non di consumo!) viene stabilito dai produttori con criteri e modalità sostanzialmente analoghe a quelle attualmente in uso:
  • da consumarsi preferibilmente entro il …..giorno e mese, per i prodotti che si conservano meno di tre mesi
  • da consumarsi preferibilmente entro fine …… mese e anno, per i prodotti che si conservano più di tre mesi ma meno di diciotto
  • da consumarsi preferibilmente entro fine….anno, per i prodotti che si conservano più di diciotto mesi.   
Qualche problema di applicazione sembra sorgere per la data di scadenza, obbligatoria per i prodotti “molto deperibili dal punto di vista microbiologico che potrebbero pertanto costituire, dopo un breve periodo, un pericolo immediato per la salute”  (chi decide il “molto deperibile” ed il “breve periodo”?). Superata la data di scadenza l’alimento diventa “a rischio” e come tale non può essere immesso sul mercato (art.14 Reg.178/02).
Sarà necessario chiarire una volta per tutte se il divieto di “immissione sul mercato” sia assoluto o se, come accade oggi, si possano rilavorare gli alimenti in prossimità della scadenza per re-immetterli sul mercato dopo trasformazione.
Il problema non è di poco conto perché su questo delicato passaggio si reggono anche le iniziative umanitarie che ricadono sotto le previsioni della Legge n 155, cosiddetta “del buon samaritano”, entrata in vigore il 16/07/2003 o le iniziative rivolte al recupero dei prodotti in scadenza della grande distribuzione (last minute market) o campagne sulla distruzione globale del cibo (Taste the waste).
Una cosa, tuttavia, è già certa: i cosiddetti “resi alimentari” viaggeranno con documenti commerciali ed il trasformatore, compresa la ristorazione, dovrà trovare il modo di informare correttamente i consumatori (obiettivo prioritario del nuovo Regolamento UE), anche se su questo punto l’art 2, punto 2, lettera a), nell’ammettere la “comunicazione verbale”, lascia una scappatoia che faciliterà l’elusione. 

Pratiche leali di informazione

L’art 7 del nuovo Regolamento sottolinea in modo quasi ossessivo il requisito fondamentale dell’informazione: non deve indurre in errore il consumatore.
Il richiamo alla necessità che le informazioni siano precise, chiare e facilmente comprensibili è quasi pleonastico ma vale la pena sottolineare che le regole vengono estese anche alla pubblicità televisiva ed alle presentazioni o allestimenti che creano il contesto.
Visto che si avvicina il Natale ed è di moda il “Bue grasso di Carrù” vengono in mente le belle macellerie addobbate con fotografie di possenti buoi con coccarde e colorate gualdrappe che permettono all’esercente di vendere un quarto di bue e tre quarti di vacche a fine carriera.

Carni ottenute da macellazione rituale

In risposta ad alcuni stimoli contenuti in un mio precedente post pubblicato su questo blog il nuovo Regolamento UE sembra orientato ad approfondire il tema delle macellazioni rituali e del benessere animale.
Il punto 50 dei cosiddetti “consideranda” prospetta di inserire nel contesto di una futura strategia dell’Unione sulla protezione degli animali l’obbligo di informare i consumatori sul benessere animale al momento della macellazione, compresi i metodi di stordimento.
Se così sarà, si assisterà al crollo delle macellazioni rituali perché difficilmente i consumatori italiano accetteranno di mangiare Kasher o Halal.

Informazioni volontarie

L’UE, vista anche l’insistenza dei Paesi del bacino Mediterraneo, sembra aprire alla possibilità che gli Stati Membri possano promuovere politiche di valorizzazione dei cosiddetti “prodotti del territorio” ma pone due precisi vincoli:
  • le informazioni non devono essere ambigue o indurre in errore il consumatore;
  • devono essere basate su dati scientifici pertinenti
Resta in ogni caso il divieto di adottare o mantenere disposizioni nazionali nelle materie armonizzate dal nuovo Regolamento. Si deduce, quindi, che sono possibili interventi nazionali su materie non armonizzate, a condizione che non si ostacoli o limiti la circolazione degli alimenti etichettati in conformità al nuovo Regolamento.
E’ fatta salva, inoltre, la possibilità di integrare le informazioni obbligatorie per motivi di salute pubblica, di protezione dei consumatori, di prevenzione delle frodi e di protezione dei diritti industriali.
Seppure tra confini molto stretti, sembra esserci un po’ di spazio per interventi nazionali ma soltanto se “si fa squadra”; le fughe in avanti non sono ammesse.
Il punto 2 dell’art 39 apre alla possibilità di intervento nazionale sull’indicazione obbligatoria del Paese d’origine (anziché del Luogo di produzione) ma occorre dimostrare “un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine e provenienza” e fornire elementi di prova del fatto “che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni”.
Sono importanti novità su cui occorrerà lavorare per rendere meno soggettivi gli attributi di qualità di alcuni alimenti inserendoli in una cornice di valori (coinvolgimento dei consumatori) e di conoscenze tecnico scientifiche (coinvolgendo le Università) che rendano oggettive le rivendicazioni nazionali.

Il nuovo regolamento sull’etichettatura è una miniera di spunti per innovare i compiti e le funzioni del Servizio Sanitario nazionale per la tutela degli interessi dei consumatori, da una parte, ma anche, dall’altra,  per  il sostegno ad iniziative di valorizzazione delle produzioni di qualità avviate da imprese del settore agroalimentare, dalla ristorazione, dalla grande distribuzione o dalle organizzazioni dei consumatori.
La discussione è aperta, visto che il Regolamento sarà in vigore a partire dal 12 dicembre ma troverà applicazione  in tre “tappe” diluite nel tempo:  la prima partirà dal 1 gennaio 2014, la seconda dal 13 dicembre  2014 e la terza dal 13 dicembre 2016 ….. se l’attuale crisi economica non pregiudicherà il futuro dell’Unione Europa. 
Gianfranco Corgiat Loia