martedì 27 dicembre 2011

Etichettatura per conoscere o per complicare?

L’analisi più approfondita e dettagliata del nuovo regolamento comunitario sull’etichettatura dei prodotti alimentasi sta facendo crescere le perplessità e le critiche dei produttori, dei consumatori e dei controllori.
Alfredo Clerici, su NewsFood ha svolto un buon lavoro di comparazione tra l’attuale normativa nazionale e le nuove disposizioni comunitarie ponendo l’accento su alcune apparenti incongruenze, dimenticanze o omissioni che ad una prima lettura potrebbero far pensare ad un peggioramento delle garanzie di informazione dei consumatori. Ma è proprio così?

Ho notato che da qualche anno la maggior parte dei siti web che si occupano, a vario titolo, di sicurezza alimentare mettono a disposizione il link al sistema di allerta rapido dell’Unione Europea (R.A.S.F.) e “spacciano” le informazioni destinate agli organi di controllo come informazioni per il consumatore. Nulla di male, ovviamente, non sono segreti di Stato ma questo contribuisce a far crescere la confusione tra obblighi di gestione del rischio e diritto di informazione dei consumatori.
Il sistema di allerta, la rintracciabilità, il ritiro dal mercato o il richiamo dei prodotti alimentari risultati non conformi sono importanti strumenti per garantire gli obiettivi di sicurezza alimentare fissati dal Regolamento 178/02 dell’Unione Europea e dai Regolamenti del cosiddetto “Pacchetto Igiene” ma è concettualmente sbagliato confondere la “comunicazione del rischio” con l’informazione ai consumatori.
Il tema è molto più complesso di quanto appaia e sta nel solco della tendenza a “trasferire il rischio” ovvero a far sì che l’informazione al consumatore coincida con un interesse dell’impresa (scarico di responsabilità).
I pericoli Salmonella, Listeria o allergeni, anziché agire su costosi investimenti e sulla prevenzione,  possono essere annullati o mitigati mettendo in guardia il consumatore (consumare dopo cottura, non consumare la crosta del formaggio, può contenere tracce di frutta secca o di solfiti ecc.)
In altri termini, le norme comunitarie sono diventate più elastiche negli standard strutturali ed igienico sanitari e puntano maggiormente sull’informazione per garantire la sicurezza alimentare.
Questo orientamento ha favorito il trasferimento del rischio sul consumatore che, di fatto, diventa responsabile di ciò che acquista e consuma.
Può essere utile, ma non bisogna esagerare! L’etichetta degli alimenti non può diventare un lenzuolo ed il consumatore non deve essere obbligato a leggere un opuscolo per comperare un pacchetto di biscotti o una confezione di wurstel.
Il consumatore ha bisogno di informazioni essenziali, chiare, veritiere ma ha bisogno soprattutto di un sistema di garanzie pubbliche credibile di cui fidarsi. Le dimensioni dell’etichetta sono inversamente proporzionali al grado di fiducia nei confronti delle istituzioni e l’Unione Europea deve fare attenzione a non promuovere il “fai da te” e distinguere nettamente il piano delle garanzie sanitarie da quello dell’informazioni per la scelta dei prodotti e per la loro conservazione.
Se si condivide questo presupposto fondamentale il dibattito in corso sulla scomparsa dell’obbligo di indicare il lotto di produzione e la sede dello stabilimento di produzione perde di significato.
Il lotto di produzione non è altro che una forma di “tracciabilità” che aiuta il produttore a circoscrivere gli obblighi della “rintracciabilità” (ritiro/richiamo) ed aiuta gli organi di controllo a svolgere l’indagine epidemiologica.
Quale informazione ricava dal lotto di produzione il consumatore?
Visto che i criteri di definizione del lotto sono noti soltanto all’impresa di produzione il consumatore non può sapere se il lotto si riferisce ad una seduta di lavorazione, ad una linea di produzione, ad una squadra di operai o a una partita di materie prime omogenee ecc. Quando scatta l’allerta rapido si parte dalla confezione risultata difettosa e dal lotto riportato in etichetta ma questo non esclude che l’allerta possa riguardare molti altri lotti altrettanto pericolosi perché contenenti lo stesso alimento a rischio.
Anche la sede dello stabilimento può essere una informazione fuorviante. In etichetta compare la sede dell’ultimo stabilimento di produzione, non quella del produttore primario o quella del Paese di origine, e quando questa informazione piace viene riportata a chiare lettere in etichetta, quando è scomoda si stampigliano numeri e codici che rimandano al coperchio, al retro della confezione o al numero di iscrizione alla Camera di Commercio.
E’ così importante per il consumatore questa informazione? Se l’obiettivo principale del nuovo Regolamento comunitario è quello di “non trarre in inganno il consumatore” è forse bene eliminare quest’obbligo. Non è infrequente che, in occasione di emergenze sanitarie originate in un altro Paese, i “media” invitino i consumatori a leggere l’etichetta e a comprare prodotti italiani e non è infrequente che i bravi trasformatori italiani abbiano utilizzato le stesse materie prime oggetto dell’allerta comunitario o gli stessi processi tecnologici responsabili dell’emergenza.
Nessuno nega l’importanza di queste informazioni per chi ha il compito di tutelare la salute del consumatore ma lasciamole a disposizione degli organi di controllo negli stabilimenti di produzione e di trasformazione senza creare false convinzioni nei consumatori o, peggio, approfittare della loro buona fede.
A mio modo di vedere, per non trarre in inganno il consumatore bisognerebbe dirgli:
  • che la sicurezza di un alimento e la salute di chi lo consuma dipendono dalla qualità delle materie prime utilizzate e dal sistema di autocontrollo e di controllo ufficiale, non dall’etichetta;
  • che il sistema dei controlli funziona e che le sofisticazioni e le alterazioni alimentari sono eccezioni, non la regola;
  • che tutti i sistemi di controllo permettono di rilevare, con una certa frequenza, non conformità e che, quando questo accade, le Autorità di controllo e le industrie alimentari devono mettere in atto indagini e misure di ritiro dei prodotti difettosi;
  • che l’etichetta può essere uno strumento per orientare l’acquisto degli alimenti in base al proprio sistema valoriale (pulito e giusto), al gusto (buono), alla disponibilità economica, alla gestione del tempo disponibile ecc.
  • che l’autodifesa non è una soluzione: se si dubita delle capacità di controllo pubblico bisogna applicare o migliorare le norme che intervengono sui conflitti di interesse nei controllori pubblici, far sì che le risorse disponibili siano spese bene, che i programmi di controllo siano adeguati quantitativamente e qualitativamente, che i tecnici corrotti o incapaci vengano rimossi dall’incarico ecc.
  • che la complessità del diritto alimentare impedisce comunque alla maggior parte dei  consumatori di capire appieno la terminologia utilizzata ed il significato di alcuni numeri ed acronimi riportati in etichetta
  • che è meglio battersi per avere un buon sistema di controllo pubblico che per una inutile sequenza di informazioni, scritte a lettere minuscole, che bisognerebbe leggere in mezzo al caos degli ipermercati nei tempi, sempre scarsi, della spesa familiare.
  • che è meglio comperare prodotti freschi di stagione, sfusi, poco elaborati ed in quantità sufficiente a soddisfare il fabbisogno di due-tre giorni piuttosto che riempire il carrello di decine di confezioni di plastica e di cartone contenenti prodotti che, nonostante le lunghe etichette, non si sa con certezza che cosa sono, da dove provengono e quanto dureranno.
  • che in tutte le emergenze sanitarie c’è chi opera per tutelare i consumatori (la Sanità Pubblica) e chi opera per cercare e condannare i colpevoli (la Magistratura). Nell’emergenza è più importante il ruolo della Sanità, anche se i media tendono a dare più enfasi alle azioni della magistratura.   
Non mi risulta che dopo una rapina ad una banca i risparmiatori ritirino i loro denari, comperino una pistola e pretendano di conoscere i contenuti e gli strumenti di indagine che la polizia mette in atto. Altrettanto deve accadere quando c’è un allerta sanitario: informazioni essenziali ed utili, fiducia negli organi di controllo. La presunzione di sapere e di poter fare meglio da soli va abbandonata.
La nuova norma sull’etichettatura degli alimenti è un evidente compromesso tra chi produce materie prime e chi le sa trasformare, tra chi vuole la “filiera corta” e chi crede nella globalizzazione dei mercati, tra chi vuole le denominazioni di origine comunale e chi crede al “made in Europ”.
L’importante è sapere che tutto ciò ha poco a che fare con la sicurezza degli alimenti e che è ora di smetterla di rivolgersi al consumatore considerandolo un eterno minorato mentale.
Gianfranco Corgiat Loia