lunedì 30 gennaio 2012

Contaminazioni alimentari negli USA. E in Europa?

Per molto tempo la "paura del cibo" si è basata sull’evidenza di un rapporto certo tra causa ed effetto. D’altra parte, nell’uomo e negli animali. i meccanismi di difesa sono sempre molto istintivi e basati su pericoli incontrati almeno una volta nella vita o “ereditati” dalle esperienze dei propri ascendenti.
Da qualche anno, i consumatori si sono accorti della pericolosità delle contaminazioni chimiche che, a differenza dei contaminanti biologici, non hanno un rapporto causa/effetto ravvicinato ma possono avere effetti sulla salute ben più gravi.La comunicazione del rischio, non sempre adeguata, è sfociata spesso in allarmismi e cattiva informazione ma, forse anche per questa stessa ragione, il consumatore è venuto a conoscenza di rischi chimici di origine ambientale o legati a processi tecnologici “hard” che prima ignorava o sottovalutava.
Il pericolo biologico non è tuttavia scomparso e ne è prova il report sulle contaminazioni alimentari rilevate in America nel 2011.
Qualche giorno fa Aurelio Travisi, su “Il Fatto Alimentare” ha pubblicato alcuni interessanti dati ricavati dal “Foodborne Illness Outbreak Database”. Un bollettino di guerra! 

E’ vero che i dati si riferiscono ad un territorio molto vasto ma è altrettanto vero che i pericoli biologici sono sempre in agguato e che, nonostante le precauzioni igieniche ed i livelli tecnologici raggiunti nella preparazione e conservazione degli alimenti, i rischi per i consumatori non sono affatto secondari.
In Italia, la sorveglianza dei focolai di tossinfezione alimentare avviene secondo il flusso previsto dal DM del 15 dicembre del 1990. Oltre alla probabile sottonotifica, i dati trasmessi non sono pienamente utilizzabili a causa dell’assenza di conferme di laboratorio e delle conseguenti incertezze sulla diagnosi eziologica.
Sulla tempestività delle segnalazioni è bene stendere un velo pietoso! Tutto ciò influisce negativamente sulle indagini che potrebbero migliorare le conoscenze sulle fonti e sulle modalità di trasmissione. In altre parole, il sistema non funziona!
A dimostrazione delle difficoltà strutturali e di coordinamento di una rete di sorveglianza molto teorica il Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute ha reso pubblici nel settembre 2011 i dati del 2009.
Nel report si legge che “In Italia, il numero di segnalazioni di focolai di tossinfezioni alimentari è stato di 248. Per ogni focolaio segnalato, il totale di casi è stato pari a 1451. L’Emilia Romagna è risultata essere la regione che segnala il maggior numero di episodi (20% del totale nazionale), seguita da Piemonte (15%), Provincia autonoma di Bolzano (14%), Lazio (10%) e da tutte le altre Regioni”
Si potrebbe quindi affermare che la popolazione si ammala di più nelle regioni che hanno un sistema di sorveglianza più avanzato. Qualche dubbio affiora sull’incidenza dei microrganismi coinvolti (Salmonelle spp. 45%, forme virali 17% e Campylobacter  1,2%), visto che, almeno per quest’ultimo microrganismo, i dati internazionali sembrano indicare un trend molto diverso.
In Europa le cosa non vanno molto meglio ma, visto che l’obbligo di segnalazione dei casi di tossinfezione è stato previsto soltanto a partire dal 2005, si sottolineano gli sforzi positivi dell’Agenzia per la Sicurezza Alimentare che, nel marzo del 2011, ha pubblicato un report sugli episodi tossinfettivi rilevati nei Paesi aderenti all’Unione.
Un passo avanti che consente di accorciare le distanze dagli americani, anche se restano due anni di distacco, visto che il report dell’EFSA riferisce che nel 2009, nell’Unione europea, sono stati segnalati 5550 focolai di tossinfezioni alimentari responsabili di 48.964 casi nell’uomo, 4356 ricoveri e 46 decessi.
Per recuperare il ritardo l’Efsa ha deciso nel marzo del 2011 di realizzare un database europeo sui consumi alimentari per raccogliere informazioni sulla dieta e sui livelli di sostanze chimiche a cui è esposta la popolazione europea residente in 19 Paesi membri.
Il database raccoglie e classifica le statistiche dei consumi alimentari e lke raggruppa in due categorie di esposizione: cronica e acuta.
Nella banca dati le indagini sulle abitudini alimentari e i dati sui consumi di alimenti per ciascun Paese sono suddivisi per categoria: età, gruppo di alimenti e tipo di consumo.
Questa suddivisione è molto importante nei processi di analisi del rischio perché consente di disporre di calcoli “su misura” per ciascuna categoria di consumatori.
Le statistiche sui consumi alimentari sono riportate in grammi al giorno e anche in grammi al giorno per chilogrammo di peso corporeo.
Un approccio sicuramente interessante, visto che per la maggior parte degli agenti eziologici e soprattutto per i contaminanti chimici l’esposizione al rischio rappresenta uno dei fattori più importanti nel “risk management”.
Vista la serietà ed il rigore scientifico con il quale Efsa sta affrontando questo tema c’è da sperare che in un futuro non lontano anche il nostro Paese possa avere un sistema di sorveglianza delle malattie alimentari più funzionale all’analisi del rischio (anche per i prodotti locali l’Italia fa spesso riferimento ai dati americani, inglesi o tedeschi) ed una banca dati sui consumi alimentari che permetta di valutare il rischio effettivo per la salute della popolazione ad opera di agenti eziologici e  contaminanti chimici negli alimenti. 
  Gianfranco Corgiat Loia