domenica 4 marzo 2012

Latte crudo: microbiologi all'attacco!

Le battaglie di Slow Food per la difesa dei formaggi a latte crudo hanno avuto un risalto mediatico  internazionale e sono state occasione di incontri e discussioni a “Terra Madre” e a Cheese, due manifestazioni ormai note a tutti.
A distanza di anni, nonostante il permanere di posizioni di contrasto, molti Paesi del mondo che erano restii ad accettare l’idea che si potessero tollerare deroghe alla pastorizzazione o alla sterilizzazione del latte stanno rivedendo le loro posizioni, i formaggi a base di latte crudo sono sopravvissuti e la loro produzione è addirittura cresciuta.     
Pur con qualche autorevole e persistente opinione contraria Slow Food ha incassato, quindi, un buon successo dando voce ai palati dei buongustai, scaldando la coscienza degli idealisti e valorizzando la storia e la cultura di molti popoli, con qualche risultato, anche se ancora modesto, sul piano del miglioramento del reddito dei produttori agricoli.
I microbiologi alimentari sono sempre stati diffidenti e poco disponibili ad avallare le teorie empiriche ed edonistiche di Slow Food ma la curiosità scientifica rivolta a studiare le complesse interazioni tra microbi buoni e cattivi e la possibilità di aiutare i primi a danno dei secondi agendo sulle tecnologie, sui processi produttivi e sui comportamenti degli operatori ha reso proficua la discussione e ha ridimensionato le loro preoccupazioni.
D’altra parte gli stessi microbiologi erano stati chiamati dall’UE ad esprimersi sulla definizione dei parametri di qualità del latte alimentare (carica batterica e cellule somatiche) e sulla possibilità di trasformare in formaggi anche il latte più “sporco” (con un più alto contenuto di batteri e cellule somatiche) purchè non commercializzati prima di 60 giorni di maturazione e stagionatura.
IL tema in comune era quello della competizione microbica e dell’ambiente di maturazione e stagionatura dei prodotti. I risultati delle ricerche sono stati interessanti e soddisfacenti ma non sufficienti a scongiurare alcuni rischi che, occasionalmente, danno esito a segnalazioni di allerta, come nel caso di Listeria monocytogenes nei formaggi a crosta lavata.
Ciononostante si continuano a produrre Taleggio e Gorgonzola.
La posizione di Slow Food sui formaggi a base di latte crudo poggia sul presupposto che la diversificazione dei formaggi sia un valore per la nostra civiltà e che la pastorizzazione del latte appiattirebbe la produzione casearia mondiale senza particolari vantaggi sanitari per i consumatori.
Fin qui tutto bene, o quasi. Ma il latte crudo da bere è un’altra cosa.
E’ vero che la sanità degli allevamenti è nettamente migliorata per effetto delle azioni di profilassi diretta ed indiretta delle malattie trasmissibili all’uomo dagli animali, ma è altrettanto vero che gli animali si possono ammalare di molte malattie e che i protocolli di intervento della Sanità Pubblica si concentrano su quelle più gravi per l’uomo.
Tra la mungitura ed il consumo diretto il latte crudo non è sottoposto ad alcun intervento e, a differenza dei formaggi, gli eventuali microbi presenti arrivano tal quali (o in numero superiore se trovano condizioni favorevoli per svilupparsi) al consumatore.
Per questo il Ministero della Sanità ha disposto l’obbligo di affiggere sui distributori di latte crudo un cartello che invita a bollire il latte.
Per questo i microbiologi hanno preso le distanze dalle dichiarazioni di Slow Food che invita i consumatori a bere latte crudo senza farlo bollire.
In base alla legislazione vigente hanno ragione i microbiologi.

Vengono tuttavia spontanee due riflessioni.
  1. La difesa del latte crudo da bere può servire a migliorare le condizioni di sanità e di igiene degli allevamenti, a integrare il reddito degli allevatori (anziché 34 centesimi al litro possono ricavare 1 euro al litro) e ad avere una buona materia prima per la trasformazione.
    Il migliore latte sul mercato proviene da allevamenti specializzati che hanno dimensioni e caratteristiche molto lontane dal modello di azienda agricola di Slow Food. 
    Le maggiori garanzie di sicurezza nel consumo di latte crudo si ottengono da questi allevamenti e oggi sembra che si sia tutti propensi, compreso Slow Food, a far coincidere la sicurezza alimentare con la qualità organolettica del prodotto.
    Ma è proprio cosi?
    Nel solco degli orientamenti consolidati Slow Food dovrebbe incominciare ad approfondire  il concetto di “latti crudi” ovvero latti con sapori e caratteristiche correlate alla razza degli animali, all’alimentazione con foraggere particolari, allo sfruttamento ed al benessere delle bovine ecc.
    Ma la variabilità dei sistemi produttivi renderebbe probabilmente difficile, se non impossibile, il mantenimento di standard di sanità e di igiene compatibili con il consumo del latte crudo, se non sottoposto a bollitura.
    Ad oggi sembra non esserci via d’uscita! Forse anche perché quando l’attenzione della Scienza si concentra su un problema specifico, anche se fosse di poco conto, gli altri problemi passano in secondo piano, anche se fossero ben più gravi.
  2. La seconda riflessione riguarda il tema del rischio.
    Per anni si è illusa la popolazione facendo credere che gli alimenti in commercio fossero “a rischio zero”.
    L’affinamento delle tecniche analitiche ed il miglioramento della ricerca applicata hanno migliorato le capacità di indagine dei laboratori al punto che oggi si potrebbe sostenere l’esatto opposto: non c’è alimento che possa essere garantito per l’assenza di rischi.
    Il rischio dipende ovviamente da fattori molto variabili quali l’intensità e la durata dell’esposizione, la sensibilità individuale, le abitudini alimentari ecc.
    La popolazione percepisce o meno il rischio in rapporto al contesto socio economico in cui vive.
    Si può pertanto affermare che il rischio è “accettabile”, “accettato” o meno in rapporto al sistema sociale di riferimento.
    In occidente si accetta consapevolmente di correre il rischio di viaggiare in aereo o in automobile, di morire di cancro a causa del fumo, di contrarre patologie legate a cause di inquinamento collegate ad uno sviluppo e a stili di vita a cui non si è disposti a rinunciare. Perché non si registrano comportamenti analoghi nei confronti del cibo?
    Un obiettivo credibile per futuro non è quello di uccidere tutti i batteri e le loro forme di sopravvivenza trascurando, invece, le conseguenze di una competitività economica sempre più basata sull’abbassamento dei costi e delle garanzie di tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori.
E’ questo modello che ci porta a difendere il latte crudo da bere senza sapere se viene da uno di quegli allevamenti da latte dove si consumavano farine animali per garantire un giusto apporto di proteine nel latte.
E’ questo modello che ci porta a difendere il latte crudo da bere o i formaggi tipici a base di latte crudo ottenuti in allevamenti che si contendono lo spazio con industrie inquinanti che rilasciano contaminanti ambientali sui foraggi destinati alle bovine da latte.
Difendere la buona zootecnica dovrebbe servire a cacciare la pessima industria. E questo può essere un buon argomento anche per Slow Food.
Gianfranco Corgiat Loia